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di ROCCO PEZZANO
OGNI anno la Basilicata potrebbe produrre oltre 452.000 tonnellate di “paglie”. O circa 50.000 tonnellate di rami e rametti provenienti da potatura.
Tutti scarti che potrebbero venire utillizzati come “biomasse”, nome che comprende una serie di materie diverse, di natura organica, vegetale o animale, utili per la produzione di energia elettrica tramite combustione.
Quante biomasse possano venire estratte ogni anno dalla Basilicata – dai boschi e dal sottobosco, dalle macchie, dalle attività agricole, dagli scarti dell’industria agroalimentare – adesso lo si può sapere grazie a una ricerca sull’intero territorio nazionale, provincia per provincia, effettuata per il centro Enea di Rotondella. Proprio nella Trisaia è stato svolto un imponente lavoro di elaborazione dei dati e di realizzazione delle mappe relative su internet.
Un ruolo da protagonista ha avuto il dipartimento Ecologia forestale Disafri dell’Università della Tuscia di Viterbo.

Il presente: dati parziali
In Italia esistono già stime di produzione delle biomasse. Ma non sono utilizzabili per programmare seriamente le politiche energetiche. Spiegano gli autori della ricerca: «Queste stime utilizzano metodologie diverse e si riferiscono ad anni diversi, presentano un problema intrinseco di non comparabilità, hanno un formato di consultazione che spesso è di tipo testuale, a volte mancano di georeferenziazione (ossia, l’attribuzione a un dato di un’informazione relativa alla sua dislocazione geografica, ndr) e non presentano elementi di cartografia elettronica».

L’obiettivo: dati certi
Gli obiettivi dichiarati del lavoro: capire il rapporto fra prodotti agricoli e biomassa residuale associata; stimare la biomassa forestale accessibile e la produzione annua di arboricultura da legno; calcolare la produttività delle colture erbacee da dedicare alla produzione d’energia; comprendere il potenziale delle biomasse fermentabili, cioè il gas del letame animale, della frazione organica dei rifiuti solidi urbani, degli scarti di macellazione; realizzare una piattaforma tecnologica in Web-Gis in cui i dati raccolti, organizzati in geodatabase, sono visualizzabili e consultabili interattivamente (nella piattaforma sono visibili strade, ferrovie, limiti amministrativi, idrografia, aree protette, immagini satellitari).
In poche parole: finalità informative ai fini di dare lo strumento di base più completo per chi si occupa di biomasse.
Dunque, per le amministrazioni locali (la Regione in realtà ha già programmato il suo futuro prossimo con il Piear, il Piano energetico-ambientale). Ma anche per le società che costruiscono centrali a biomasse, per i privati interessati a vendere risorse energetiche, per gli ecologisti che ultimamente non vedono di buon occhio i progetti lucani legati alle biomasse, considerati potenzialmente pericolosi per la salute umana e per l’ambiente, per i cittadini che si interrogano sui progetti da realizzare vicino a casa.

Timori sparsi
In Basilicata il tema è particolarmente caldo: la Centrale del Mercure, vecchio impianto a olio che l’Enel ha riconvertito a biomasse, trova forti ostacoli in comitati di cittadini e associazioni ambientalista, anche se da qualche tempo sono sorti comitati pro-centrale. Poi c’è la struttura di Potenza per i rifiuti (considerata termodistruttore da chi lo vuole e inceneritore da chi ne osteggia l’entrata in funzione), una centrale da 13 megawatt da costruire a Venita di Ferrandina, una da 14 mw a Piani Sottani di Tricarico (per cui si è costituito un comitato di contrari che si chiama “Uno si distrae al bivio”), una a olii vegetali da 10 mw che vuole costruire Tecnoparco ValBasento Spa a Pisticci. Si parlava anche di Teana, nel parco del Pollino, anche se pare che il piano sia venuto meno.
I nemici delle biomasse dicono che questi impianti brucerebbero anche materiali inquinanti e che impoverirebbero le risorse naturali locali.
Sul primo argomento, le tesi sono quanto mai varie e contrastanti. Sul secondo, la ricerca Enea-Università di Viterbo potrebbe fornire informazioni utili a sapere quante biomasse usare senza danneggiare il patrimonio boschivo e agricolo.
Il concetto di biomasse è esteso. Nello studio viene calcolata la produzione di legno delle foreste (e, all’interno, dei boschi di latifoglie, di conifere e di arboricoltura), scarti agricoli (suddivisi in paglie, vinaccia, sansa, gusci di frutta e lolla del riso), colture energetiche (ossia le piante da cui si ricavano combustibili come il sorgo, l’arundo, il cardo, il panico e il miscanto), il biogas dei bovini (il metano prodotto dalle deiezioni degli animali nelle stalle), il biogas degli scarti di macellazione, il biogas Forsu (cioè da rifiuti).
La Basilicata può dare molto con le paglie, materiale di risulta di alcune colture come quella del grano. La provincia di Potenza inoltre viene considerata fra le più produttive, potenzialmente, d’Italia per il legno da bosco.

Passaggio in tv
Lo si è ricordato anche domenica sera nel corso del programma “Presa diretta” su Raitre, condotto dal giornalista d’inchiesta Riccardo Iacona.
Il progetto voluto dalla Trisaia è confluito su internet. All’indirizzo https://atlantebiomasse.trisaia.enea.it/ si può consultare una mappa che dà informazioni di ogni tipo.

Numeri sostenibili
Sorge un dubbio: come è effettuata la stima della biomassa di origine forestale? Cioè: viene calcolata come massima quantità di biomassa estraibile per tenere in vita il bosco e fare sì che la risorsa non si esaurisca e sia riproducibile?
«I dati riportati nel dataset dell’Atlante – spiega Anna Barbati, professoressa del Disafri dell’ateneo di Viterbo – indicano la quantità di biomassa effettivamente ritraibile dal bosco per fini energetici; si tratta solo di una frazione del tasso naturale annuale di accrescimento del bosco, dunque si mantiene la riproducibilità della risorsa (il “capitale” rimane intatto e continua ad accrescersi nel tempo); in un’ottica di sostenibilità ambientale dell’uso della risorsa legnosa abbiamo ritenuto opportuno introdurre restrizioni al prelievo rispetto al potenziale massimo di produzione, anche nelle condizioni stazionali più favorevoli alla meccanizzazione delle utilizzazioni forestali; si deve inoltre considerare che la stima tiene conto delle limitazioni connesse all’accessibilità dei soprassuoli forestali, che condizionano l’ambito di convenienza economica delle utilizzazioni. Pertanto la disponibilità netta a scala territoriale di biomassa legnosa può ridursi anche sensibilmente rispetto alla potenziale massimo di produttività, in relazione alla distribuzione spaziale delle superfici forestali».
Certo, i dati sono uno strumento conoscitivo e, se si vogliono applicare sul territorio, è necessario un approfondimento sulla realtà locale.
Comunque, i dati del progetto Enea possono portare alla produzione di energia rinnovabile preservando al contempo i boschi.
Una base su cui costruire il futuro.
r.pezzano@luedi.it

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