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E’ UNA lista che guardata così fa rabbrividire. Gli organi espiantati in Basilicata, che verranno trapiantati altrove per salvare la vita di chi ne ha bisogno, hanno un costo: 10.000 euro per cuore, fegato, rene; 1.000 per la cornea. 300759La lista riportata qui è quella ufficiale: stabilisce il “valore” di riferimento per calcolare gli incentivi aggiuntivi che la Regione riconosce alle aziende sanitarie per remunerare strutture e operatori sanitari coinvolti. Con il coinvolgimento del Centro regionale dei trapianti. Quel che colpisce subito, oltre chiaramente al fatto che esistano dei costi, è che il “prezzo” sia dettagliato a seconda dell’organo da prelevare. Ma gli incentivi riconosciuti non riguardano solo i prelievi: l’attività di accertamento di morte cerebrale vale 5 mila euro. Ed ecco il terzo elemento che desta stupore: la Regione paga anche se il prelievo non viene effettuato, nel caso in cui la famiglia si opponga alla donazione ma siano state comunque attivate le procedure di assistenza al donatore. In questo caso viene riconosciuto il 30 per cento del “valore” stimato dell’organo, oltre alla retribuzione per le attività di accertamento di morte cerebrale effettuate. Ce n’è abbastanza per rimanere perplessi e incominciare a porsi qualche domanda. Attenzione però, perché quello che sarebbe facile ma altrettanto sbagliato condannare come un fatto assurdo, per essere compreso nella sua complessità ha bisogno di alcune importanti precisazioni. Innanzitutto, c’è da dire che esiste una delibera di giunta regionale risalente al ’99, la numero 575 del 29 marzo, quando assessore alla Sanità era Filippo Bubbico, che riconosce e quantifica le remunerazioni aggiuntive. L’obiettivo del provvedimento assunto dodici anni fa è quello di incentivare gli espianti d’organo e quindi i trapianti. Ma è giusto prevedere compensi aggiuntivi del 30 per cento a organo per lo staff sanitario coinvolto, anche nel caso in cui il prelievo non vada a buon fine, quando dalle famiglie non arriva il consenso? E soprattutto quanti sono i familiari dei possibili donatori messi al corrente di questa procedura? Dubbi legittimi che hanno bisogno di ulteriori precisazioni. In primo luogo vanno specificati i beneficiari degli incentivi aggiuntivi: in elenco c’è l’equipe dei rianimatori, il Centro regionale di riferimento e laboratorio di tipizzazione dei tessuti, la direzione sanitaria del presidio ospedaliero, l’equipe chirurgica del presidio e il personale delle sale operatorie, il laboratorio analisi e la Banca del sangue. Le aziende sanitarie, proprio come previsto dalla delibera del ’99, autocertificano alla Regione il numero di morti cerebrali accertate, i prelievi effettuati, ma anche quelli non riusciti per i quali comunque siano state attivate le procedure previste. A sua volta la Regione trasferisce i compensi “fatturati” all’azienda sanitaria che procede alla ripartizione. Nel 2007, a esempio, Potenza fatturava 179.416 euro, Matera 20.761 euro. Il venti per cento di questi importi viene trasferito al Centro regionale dei trapianti. Il centro, che opera presso l’ospedale di Matera – è precisato nella delibera del ’99 – funge da punto di riferimento e coordinamento di tutte le attività di prelievo svolte all’interno degli ospedali lucani e garantisce i collegamenti con i centri di altre regioni. Per le attività di accertamento di morte cerebrale e prelievo di organi effettuate nel periodo tra il 2007 al 2009, la Regione ha trasferito al Crt 729.029 euro ; il coordinatore del Centro, a sua volta, corrispondeva all’azienda ospedaliera San Carlo di Potenza, la somma di 472.577 euro.
A dubbi chiariti, nuove perplessità. I rianimatori e i chirurghi non vengono già pagati per il lavoro che svolgono? E il Centro trapianti non nasce con la finalità di occuparsi esclusivamente di questo? Come si spiegano allora i compensi aggiuntivi? Ci viene spiegato che l’attivazione di tutte le procedure in vista di un probabile espianto ha dei costi molto elevati. Cosa accade? Quando cè un paziente clinicamente morto, in assenza di patologie riscontrate, automaticamente diventa un possibile donatore. C’è uno staff medico che deve occuparsi in primo luogo di accertare la morte cerebrale, tenere in vita gli organi, dopo averne verificato la perfetta funzionalità. Nel frattempo vengono attivate le procedure per chiedere il consenso ai familiari alla donazione. Si spiegherebbe così il compenso del trenta per cento anche nel caso in cui le famiglie si oppongano alla donazione.
Tutto questo ha un costo. Di macchinari, ma anche di “uomini”. Soprattutto perché nel caso di un probabile prelievo la priorità è non perdere tempo. Un medico, rianimatore o chirurgo, deve essere pronto a qualsiasi ora della notte o del giorno a intervenire ed eventualmente eseguire l’intervento. Anche perché spesso l’equipe medica può essere composta da professionisti che arrivano da altre aziende sanitarie. Ma anche in questo caso c’è una domanda legittima da porre: non sarebbe meglio retribuirli con uno straordinario, piuttosto che calcolare i compensi in base a un listino prezzi che richiama quelli di una macelleria? Certo, una cosa va detta: la delibera di giunta, così com’è stata articolata, sembra aver prodotto buoni risultati. La Basilicata in fatto di donazioni fa la sua buona parte. Nella delibera del ’99 si legge in premessa che “è ritenuto necessario e urgente un intervento regionale di potenziamento, di consolidamento e attribuzione di risorse finanziarie finalizzate alle attività di prelievo organi”.
Ma è davvero questo il più corretto e unico metodo per incentivare le donazioni? E poi, ancora un altro quesito: quante sono le famiglie nell’anticamera di una rianimazione, messe difronte a una scelta così difficile, a conoscere il funzionamento di questo meccanismo per il quale l’organo del proprio congiunto ha un prezzo? Tutto legittimo dal punto di vista del procedimento formale, ma certo qualche dubbio etico rimane.

Mariateresa Labanca

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