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POTENZA – Nè profeti e nè disfattisti. Ma solo fermamente decisi a voler sapere la verità. Lo chiede la Basilicata. Lo chiedono i cittadini. La vicenda Fenice inizia a trascinarsi. La Commissione d’inchiesta della Regione (istituita il 4 ottobre ma insediatasi ufficialmente solo il 27 dello stesso mese) ha concluso i suoi primi 4 mesi di attività con un sostanziale “nulla di fatto”.
Il direttore Paride Leporace in un editoriale datato 13 ottobre definiva tutta la questione relativa al mancato controllo da parte dell’Arpab dell’inquinamento ambientale prodotto da Fenice “la peggiore macchia nera che si sia mai registrata nella storia del governo della Basilicata. Una bomba ecologica è stata fatta esplodere nel nome del profitto e del peggiore colonialismo economico ai danni della popolazione del Vulture”.
E quindi aggiungeva, più di 4 mesi fa: “Su questi fatti il consiglio regionale di Basilicata ha istituito una commissione d’inchiesta. Ebbene, alla luce di una rigorosa inchiesta giudiziaria, è questo un organismo inutile e pletorico che non ha ragione di essere istituito».
La Commissione invece è nata ed è pure stata salutata con enfasi dal consiglio. E poi è scaduta. Nel mezzo è calato il silenzio. Si è saputo poco di quello che la Commissione speciale d’inchiesta stava facendo per tentare di capire dove e come si era creato il “corto circuito”. Si è solo appreso delle polemiche che hanno caratterizzato la composizione della Commissione. Tre consiglieri (Falotico, Mollica e Navazio) addirittura sono usciti sbattendo la porta quando fu eletto il 27 ottobre come presidente della Commissione il capogruppo del Pdl, Nicola Pagliuca. Un altro, Romaniello della Sel, non ha mai partecipato alle riunioni.
Nel frattempo si è arrivati alla fine di febbraio e di nuovo la Commissione d’inchiesta è tornata a far discutere. Ma non per i risultati ottenuti. No. Tutt’altro. La Commissione è tornata a far notizia solo per la richiesta approvata dal consiglio a maggioranza di una proroga. In pratica da 4 mesi inizialmente previsti ci si trova ora con una Commissione che durerà ben un anno. Durata triplicata insomma. E il motivo per cui si andrà avanti fino a ottobre prossimo è che molti enti pubblici e amministrazioni locali non hanno offerto collaborazione alle indagini della Commissione della Regione.
Addirittura l’Arpab avrebbe risposto parzialmente alla domande della Commissione di inchiesta chiedendo più tempo per trovare dei dati che dovrebbero essere pubblici. Tanto più che sono quei dati (precedenti al 2000) che erano necessari per legge per autorizzare l’avvio di Fenice. Senza contare il Comune di Melfi del sindaco socialista Livio Valvano. L’amministrazione comunale federiciana nonostante i solleciti ha pensato bene di non inviare nessun documento. Ma Melfi sta diventando un caso nel caso. Il comune non solo mostra completo disinteresse per le indagini di quella che rimane comunque (al netto del merito o dell’opinione sulla sua utilità) una Commissione istituzionale, ma allo stesso tempo unico tra i comuni del territorio del Vulture a non firmare il documento che chiede a Fiat il rispetto della sentenza della Corte d’Appello sul reintegro dei tre operai espulsi dal loro posto di lavoro. Eppure Melfi è il comune dove sia Fenice e sia la Fiat “risiedono”. Per dirla con Andreotti (anche se la frase è dell’Ordine della giarrettiera inglese): “A pensar male spesso ci si azzecca”.
In tutto questo non si può tacere su quello che è accaduto in consiglio regionale appena due giorni fa. Proroga doveva essere e proroga è stata. Lo si sapeva dalla vigilia che il consiglio avrebbe accordato un’estensione del tempo di durata. Il contrario avrebbe significato ammettere di aver sprecato tempo e denaro (una Commissione ha dei costi).
Ma il dibattito è stato, in ogni caso, un puro esercizio retorico nel sostenere una tesi piuttosto che un’altra. Perchè c’è un dentro e un fuori. Nell’aula magari le cose possono anche apparire “normali” ma fuori davvero non si capisce perchè ci si affanna tanto intorno a chi deve essere il presidente o a quale tipo di organo consiliare era più adeguato a indagare. I lucani vorrebbero semplicemente sapere cosa è successo. Perchè? E per colpa di chi o di cosa. La sensazione è che solo la magistratura potrà far chiarezza. La politica è difficile che possa aiutare. Almeno in questo ambito. Ma è chiaro che se l’intenzione alla base dell’istituzione della Commissione era quella di voler recuperare “credibilità” su tutta la vicenda Fenice non è certo questo il modo.
Ad ogni buon conto, il dibattito consiliare martedì è andato avanti per ore. Fino alla scontato esito della proroga. Diverse le posizioni ovviamente. Alcuni spunti anche interessanti sono emersi. Ma del perchè Fenice abbia inquinato nonostante gli stretti controlli previsti non è emerso nulla di più di quanto non si sapesse gia. Mancava però, in aula l’ex assessore Erminio Restaino: il capro espiatorio.
Sulla questione della proroga ci sono comunque due dichiarazioni post consiglio. Quella di Enrico Mazzeo Cicchetti (vedere articolo a lato ndr) e quella del capogruppo della Sel, Giannino Romaniello che ha auspicato: «Le riunioni dell’organismo“siano proficue e stiano al merito dell’incarico che il consiglio ha dato alla Commissione, che sicuramente non è quello di limitarsi a promuovere audizioni. Bisogna prendere atto che la Commissione di inchiesta Fenice è partita con il piede sbagliato. Il voto di astensione alla proroga che ho espresso ieri è in coerenza con la posizione assunta all’insediamento della stessa e solo ed esclusivamente per dovere istituzionale parteciperò alle prossime riunioni chiedendo però che siano riunioni proficue e che stiano al merito dell’incarico che il Consiglio ha dato alla Commissione, che sicuramente non è quello di limitarsi a promuovere audizioni».
E quindi ha ricordato Romaniello: «E’ fondamentale chiudere quanto prima i lavori della Commissione con una relazione puntuale sulla verifica di atti amministrativi, così come prescritto per norma e cercare di lavorare come Consiglio affinché, intorno ai temi, alle questioni ambientali si impegnino energie, risorse, non solo risorse economiche, ma anche risorse umane per rimuovere ostacoli e anche per mettere nella condizione gli enti di poter fare le giuste verifiche, il giusto monitoraggio. Penso che abbiamo un dovere: quello di dare una corretta informazione ai cittadini».

Salvatore Santoro

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