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«ABBIAMO smesso di inquinare». L’amministratore delegato di Fenice Ambiente srl lo aveva detto nel corso della conferenza stampa di qualche settimana fa, e lo ha ribadito in comunicato che risale solo a venerdì scorso. E allora ora dovrebbe spiegare perchè nelle nuove analisi delle acque di falda effettuate dall’Arpab nel mese di settembre hanno fatto la loro comparsa nuove sostanze, in valori che superano le soglie consentite dalla legge: si tratta di ferro e benzene. Si sono aggiunti, a partire dal mese che è appena trascorso ai valori fuori norma, ormai consueti, di cromo, nichel, manganese, tricloroetilene, tetracloroetilene e dicloropropano. Nuove paure (il comitato per la salute di Lavello ha fatto scattare subito d’allarme, dando notizia dei https://www.arpab.it/fenice/public/Riepilogo_Fenice_settembre2011.pdfnuovi dati pubblicati sul sito dell’Agenzia regionale per l’ambiente, ieri mattina presto) e soprattutto nuovi dubbi sull’operato e la stessa attendibilità di Fenice. «Abbiamo eliminato tutte le fonti di inquinamento attivo – aveva detto la società nel corso del recente incontro con la stampa a Melfi – Non rimane che bonificare». Ma se così è, da dove spuntano quei nuovi parametri oltre ai limiti massimi consentiti, che non c’erano invece nelle rilevazioni di luglio, maggio e marzo? E comparando i valori delle altre sostanze in concentrazioni eccessive siamo davvero sicuri che – per quanto in sensibile diminuizione se comparati a quelli degli anni passati – siano realmente in calo se rispetto ai mesi precedenti?
Il direttore dell’Arpab, Raffaele Vita, invita a leggere i dati con cautela: «Si tratta di sostanze che prima non venivano monitorate, la cui misurazione risale allo scorso marzo. Il fatto che le analisi di settembre ne rilevino la concentrazione superiore alle soglie fissate dalla legge, a differenza di quanto è emerso in precedenza, non significa che non ci fossero già stati negli anni precedenti. Una sola rilevazione non può bastare a trarre conclusioni oggettive».
«Quello sui cui ora bisogna puntare l’attenzione – aggiunge il direttore generale dell’Agenzia regionale per l’ambiente – è il piano di bonifica che Fenice si è impegnata a presentare entro il 18 ottobre. Una bonifica che dovrà tener conto anche di questi nuovi valori oltre soglia».L’intervento, a totale carico della Edf, ha l’obiettivo di ripristinare le condizioni iniziali ed eliminare tutti i veleni dalle acque di falda. Il periodo stimato di realizzazione è di circa otto mesi. «E’ questo il tempo che ci prendiamo – aggiunge Vita – per valutare in maniera oggettiva se ci siano le condizioni per continuare e tenere in esercizio il termovalorizzatore di Melfi. Se al termine di questo progetto i nostri monitoraggi continueranno a rilevare inquinamento in corso, allora e solo allora, avremo tutte le carte in regola per chiedere a Fenice di sospendere le attività». C’è una questione che rimane: se – come ha confermato nei giorni scorsi dall’assessore all’Ambiente, Agatino Mancusi – la Regione si appresta a rilasciare alla multinazionale francese l’Autorizzazione integrata ambientale, su quali basi si potrà chiedere di chiudere baracca tra qualche mese?
Nel frattempo, però – secondo fonti non ufficiali ma attendibili – l’Arpa Basilicata avrebbe chiesto di sospendere momentaneamente le attività, in vista della bonifica. E Fenice si sarebbe riservata di decidere su questa richiesta. La stessa richiesta era arrivata dal Consiglio comunale di Melfi, invitando Provincia e Regione a verificare questa possibilità.
Ma per i cittadini del Vulture, stanchi di convivere con una bomba a orologeria, più che di una scelta opportuna si tratta di un atto doveroso. A far paura non ci sono solo i veleni nelle acque. I residenti della zona non hanno dimenticato le fiamme che nella notte tra il 2 e il 3 ottobre sono divampate fuori e dentro l’impianto. Un incendio che per essere spento ha richiesto ore. E che soprattutto ha dei precedenti. Questa volta le cose sono andate bene: secondo i monitoraggi Arpab non ci sono state emissioni pericolose in atmosfera. Ma questo non esclude che l’incidente possa ripetersi. E i cittadini ora si chiedono: con quali possibili conseguenze? Dubbi a questo punto più che legittimi.

Mariateresa Labanca

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