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POTENZA – «La speranza è l’ultima a morire». Ci vuole credere il sostituto procuratore generale di Potenza, Gaetano Bonomi (in foto). È convinto di avere dato tutte le spiegazioni del caso e che ci sia ancora una possibilità che i pm di Catanzaro nei prossimi giorni, quando scadranno i termini delle indagini sulle nuove “Toghe lucane”, chiedano di archiviare le accuse sul suo conto. «Riteniamo che chi ha la possibilità di accertare la verità, avrà la possibilità di farlo». Così all’uscita dal comando provinciale dei carabinieri. Si tratta solo di capire «se le ipotesi di accusa sono destinate a rimanere tali, o a portare a conseguenze diverse che noi ci auguriamo non intervengano».
Le conseguenze di cui parla Bonomi sarebbero un avviso di garanzia con la prospettiva di una richiesta di rinvio a giudizio. Ma nessuno può escludere qualcosa di peggio. Solo una battuta sulla “Pp”, che è come Bonomi stesso ha deciso di ribattezzare le due diverse società segrete che è accusato di aver messo in piedi. «Siamo arrivati a 4mila iscritti, ma il nostro obiettivo è raggiungere presto i 5mila».
In totale il suo interrogatorio è durato 5 ore. A ospitare il faccia a faccia tra il personaggio chiave dell’inchiesta della Procura di Catanzaro e i pm che da almeno un anno e mezzo se ne stanno occupando, Giuseppe Borrelli e Simona Rossi, c’ha pensato il comando provinciale dell’Arma dei carabinieri per ragioni di opportunità dal momento che Bonomi non ha fatto mistero dei suoi motivi di contrasto con molti degli agenti in servizio nella questura del capoluogo, che risultano anche parti offese rispetto ai fatti che gli vengono addebitati. «Siamo molto soddisfatti – ha spiegato alla fine Bonomi – per come è stato gestito e condotto l’interrogatorio». Nei giorni scorsi il sostituto procuratore generale aveva denunciato persino lo stesso pm Borrelli, ma ieri non si è sottratto alle sue domande, come pure avrebbe potuto fare, ma ha cercato di dare spiegazioni indicando anche documenti e elementi di approfondimento per riuscire a ricostruire l’accaduto. Ovviamente si è parlato dell’esposto di «Sicofante». Per gli inquirenti sarebbe stato Bonomi l’autore morale e materiale di quell’anonimo in cui il pm Henry John Woodcock veniva indicato in maniera pretestuosa come l’autore di una serie di fughe di notizie clamorose. C’era un complotto contro di lui, secondo gli investigatori e attorno al sostituto pg sarebbero ruotate in tempi differenti due distinte associazioni a delinquere: la prima composta assieme al collega Modestino Roca, il colonnello Pietro Gentili (poi diventato responsabile della sicurezza di Marinagri) e l’allora capo della squadra mobile Luisa Fasano; la seconda con due sottufficiali dei carabinieri, un maresciallo della guardia di finanza e Nicola Cervone, un agente del Sisde già noto per gli abboccamenti con il boss Antonio Cossidente, del clan dei basilischi. Obiettivi? Colpire i magistrati scomodi che stavano dando fastidio all’elite politico imprenditoriale lucana. Non solo Woodcock, ma anche Vincenzo Montemurro e il gip Alberto Iannuzzi.
Dall’altra parte affianco a Bonomi ci sarebbero stati l’ex procuratore generale Vincenzo Tufano e il pm Claudia De Luca. Con che ruolo? È ancora da chiarire e nei prossimi giorni verranno sentiti entrambi.

Leo Amato

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