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LA direzione regionale del PD di lunedì sera, seppure fisicamente a porte chiuse (come lamentato anche dai nostri cronisti) è stata di fatto aperta, anzi apertissima. Chiunque ha potuto seguire la diretta della riunionedallo schermo del proprio PC per coglierne sostanza, tic e umori. E questa, va detto, è stata una scelta coraggiosa da ascrivere a merito di Roberto Speranza che lo affranca, solo in parte, dal lungo periodo da “musone” tenuto nei confronti della stampa. Una scelta coraggiosa quella di mettere in piazza una comunità di persone in mano alle quali risiedono larga parte delle sorti di questa regione proprio nel momento in cui essa è sottoposta ad una pressione inedita e che, quindi, legittimamente avrebbe potuto pretendere di effettuare una fase di discussione interna più riservata. Col senno del poi (dall’andamento del dibattito -a volte davvero imbarazzante-, dalla assenza di “decisioni finali”) non sappiamo se la scelta verrebbe rifatta. Ma, nonostante l’incontro non abbia sortito i risultati sperati e abbia dato una immagine non proprio brillante di questo partito sulle cui spalle grava un enorme peso e responsabilità, la scelta di rendere pubblica la discussione è stata giusta. Perché essa ha restituito una immagine vera di questa comunità politica, con i suoi alti e i suoi bassi. Una comunità fatta di uomini (prevalentemente, ahimè) e di donne, molti dei quali singolarmente dotati di alta capacità di analisi, senso della propria mission e di quella della propria organizzazione. Una comunità che si rivela essere ancora depositaria di risorse umane in grado di tenere testa alla difficoltà del momento. Una comunità che in questa occasione si è dimostrata capace di analizzare crudamente la situazione, di fare anche seria autocritica e di cogliere la urgenza di passaggi e azioni non più rinviabili. Cose che fino a qualche giorno fa non apparivano per nulla scontate. Ma tutto questo, come abbiamo visto plasticamente, non basta a fare di essa un vero e proprio gruppo dirigente, nell’accezione più nobile che si può dare a tale definizione. Ovvero con una capacità di giungere, al termine di una pur franca e articolata discussione, a decisioni chiare e nette, come la situazione richiedeva e richiede. A nulla sono, infatti, valse la meditata relazione del segretario Speranza (per nulla rituale) che è tornato a posizionare con maggiore decisione la sua oramai famigerata asticella e nemmeno la stragrande maggioranza degli interventi, taluni davvero di notevole spessore in quanto protesi oltre la contingenza e le miserie di un avvicendamento in giunta. E’ bastato l’imbarazzante intervento di un Restaino livoroso contro tutto e tutti (magistratura, stampa e i suoi compagni/amici di partito) per far deragliare “politicamente” la riunione e ad impedire all’incontro di concludersi nel modo produttivo e utile che necessitava e che meritava. Fatto salvo l’aspetto umano (sempre da rispettare) è davvero incomprensibile -ogni qualvolta ciò accade- che un uomo pubblico (al di la dei torti e delle ragioni) non dimostri di comprendere quando e quanto sia importante -per se stesso, per il proprio partito e per l’Ente di cui è amministratore- lo sgombrare il campo dalle proprie vicende personali. Affinché si possa affrontare con maggiore efficienza ed efficacia una fase di risalita da oggettive difficoltà, senza che ciò suoni necessariamente come una condanna o peggio una congiura a proprio danno. Ma tant’è e non sappiamo come ora Speranza e De Filippo se ne usciranno da una situazione che gli è ritornata tra le mani forse più complicata di prima. Una situazione che non è giusto, utile e corretto rimanga nella loro esclusiva disponibilità, sebbene anche dalle conclusioni dei due al dibattito non ci è sembrato fosse certamente l’epilogo da loro auspicato. Insomma, l’aspetto debole dello spettacolo offerto in modo plastico dalla riunione è stato quello di una comunità di uomini soli. Un insieme di personalità tra cui si respira reciproca eccessiva diffidenza. Un insieme di personalità che se riuscissero a fare un salto di qualità nelle relazioni reciproche, più improntate ad una onestà intellettuale riconosciuta ed introitata, ad una collegialità nelle decisioni e ad un maggiore rispetto per i ruoli e le funzioni di ognuno, forse se ne gioverebbero loro in primis. Ma sicuramente noi tutti cittadini lucani. Perché essi potrebbero svolgere il proprio impegno e ruolo al servizio della collettività in modo migliore, più puntuale, più da “gruppo dirigente”. In grado, quindi, di anticipare i processi (non quelli giudiziari) e guidarli nella direzione più opportuna o che si è promesso di fare. Per non essere, come ora, costretti a subire e ad inseguire eventi ed opinioni che accadono e si formano in una società che sembra viaggiare in modo più veloce. Come la vicenda si evolverà. Come i contenuti della discussione diventeranno basi per decisioni che dovranno necessariamente essere assunte nelle prossime settimane, nonostante tutto, non è affare del solo PD o di chi lo vota. Perché non bisogna essere elettori di questo partito per comprendere che larga parte delle sorti della politica regionale (e a livello nazionale qualsiasi ipotesi alternativa al berlusconismo) non può che svilupparsi intorno ad esso. Piaccia o non piaccia. Nessuno si illuda e/o speri che esso, pur con tutto l’impegno che sembra profondere in autolesionismo, possa perdere tale centralità. Una condizione ricevuta non per grazia divina, ma per la fiducia che in esso hanno dimostrato e dimostrano di avere migliaia di lucani e milioni di italiani. Questa sua centralità oggettiva, giustificherebbe da sola l’attenzione che su di esso si concentra nel bene e nel male. Sia da parte di chi le critiche le fa perché lo vorrebbe migliore, sia da parte di chi lo vorrebbe indebolire e magari farlo implodere. E’ dirimente, pertanto comprendere, se esso ha i numeri (non solo quelli elettorali) per adempiere al compito di cui è investito. Bersani sabato a Roma, in quella piazza gremita all’inverosimile (alla faccia dell’antipolitica) ha lanciato segnali chiari in tal senso. Speranza lunedì sera a Potenza, ha fatto lo stesso. Ma nell’arco di una qualche settimana fa a Matera ci è capitato di assistere allo svolgimento di due appuntamenti del PD (una direzione provinciale –sempre con Speranza e un incontro pubblico con LaTorre) in cui avevamo ascoltato le stesse cose. I contenuti e le proposte ci sono e sono davvero interessanti. Giusto per dare a Cesare quello che è di Cesare. Un dovere per chi come noi non fa mai fatto mancare critiche severe. Ma anche perché è incoraggiante constatare che il cielo non è poi così nero come ci appare. Che delle luci potenzialmente in grado di illuminare il cammino vi sono. Anche se, per diventare fari ben visibili a tutti, necessiterebbe una maggiore applicazione in termini di credibilità. Per dare chiarezza e solidità alle decisioni, ad una linea da portare all’esterno, nelle piazze. Magari collegandola più efficacemente e senza astio agli strumenti di comunicazione.

Vito Bubbico

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