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POTENZA – Arriva inesorabile questo 8 marzo. E ogni anno è come leggere il copione dell’anno prima. I numeri delle violenze sulle donne fanno paura, i numeri relativi alla disoccupazione fanno venire i brividi. In generale i soggetti più deboli restano deboli e, nonostante i milioni di euro che oggi verranno spesi in mimose, nessun passo avanti è stato fatto. Passato l’appassionato fervore degli anni Settanta – che ha consentito di raggiungere traguardi che solo dieci anni prima sembravano impossibili – c’è stato prima un blocco, poi addirittura un arretramento. E il motivo è uno soltanto: manca il lavoro. Ed è inutile fare tanti giri di parole, le donne si liberano quando hanno qualche soldo in tasca. Si liberano – non sempre, ma è più semplice – del marito violento se hanno un lavoro. E liberano i loro talenti e le loro potenzialità se economicamente sono indipendenti.
Non ci inventiamo nulla di nuovo: le donne entrano prepotentemente in scena grazie alle due guerre mondiali: gli uomini sono tutti (o quasi) al fronte a combattere e nei grandi distretti industriali si ricorre alle donne per continuare le produzioni. Il lavoro le fa uscire di casa e così le donne iniziano a percorrere la strada di un nuovo protagonismo. Quando gli uomini tornano, cercano di rimandarle a casa, ma ormai la miccia è stata innescata e pian piano la bomba esploderà.
Questa pesante crisi economica, tra le tante vittime che sta seminando, deve registrare anche le donne e i loro diritti. Se una fabbrica entra in crisi si “libera” immediatamente dei meno contrattualizzati e, guarda caso, si tratta nell’80% dei casi di donne. Se si deve scegliere se mandare a casa il classico “padre di famiglia” – che manda avanti la sua casa con un solo stipendio – e una donna – «che tanto la mantiene il marito» – la scelta è sempre la stessa. Ed inutile dire: «ho studiato, ho più competenze, ho anch’io una famiglia». La donna è sempre quella che può aspettare tempi migliori. E non è un caso che negli ultimi anni le classifiche sulla disoccupazione le vedono sempre vincitrici. «Al Sud – conferma un’indagine Svimez – lavora regolarmente meno di una giovane su quattro, con un tasso di occupazione fermo al 23,3%». Peggio in Basilicata, con un pessimo 24%.
E non è che prima andasse meglio: le dimissioni in bianco – su cui c’è un grande dibattito nelle ultime settimane – non sono un’invenzione moderna. Anche quando l’economia andava a gonfie vele, le pance delle donne sono sempre state un problema. Mai una risorsa – come ogni logica legata alla sopravvivenza della specie dovrebbe suggerire – ma un problema. Anche se sei la manager più brava e professionalmente più adeguata, se resti incinta non hai la certezza di avere il posto garantito. La capacità riproduttiva le chiude a casa le donne. Tocca a loro occuparsi di crescere quelle vite che generano. Non solo. Quando si tagliano servizi, quando i Comuni non ce la fanno a garantire assistenza sociale, sono le donne a essere penalizzate. Non ci sono i servizi per i bambini? Problema delle mamme. Non ci sono servizi per gli anziani? Problema delle figlie o delle nuore o delle sorelle. Dove non c’è il Welfare state c’è la rete delle donne.
E allora? Non dateci le rose (o le mimose), ma il lavoro. Ma siccome nessuno darà mai alle donne nulla così semplicemente, bisognerebbe pensare a come trasformare in opportunità una condizione di storica subalternità. Le badanti dell’Est questa idea l’hanno già fagocitata. Nei nostri comuni le badanti sono una presenza più che integrata. Hanno trasformato in lavoro un’assenza di Stato sociale. E gli asili domiciliari – il primo sperimentale è quello che è partito martedì scorso a Brindisi di Montagna – possono in questo senso diventare un’opportunità grande per le donne. Non c’è lavoro? Lo creo offrendo quei servizi che la comunità non offre. E, al contempo, posso stare vicina ai miei figli. Lo Stato sociale si regge sulle donne? Allora facciamo diventare questo Stato sociale “cosa nostra” in tutti i sensi, creando così nuovo lavoro. Auto-realizzandosi, mettendosi in gioco. Un modo per uscire fuori di casa anche restando a casa. Proviamoci. Perché è il lavoro che rende davvero libere.

Antonella Giacummo

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