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«Con inaudita pervicacia si insiste in un’aggressione quotidiana su tutte le testate giornalistiche, causando la costante, lenta e inesorabile distruzione mia e dei miei familiari, con il contestuale godimento di pochi soggetti ben individuabili». Lo afferma, in una nota, l’imprenditore crotonese Raffaele Vrenna, condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Dallo scorso mese di agosto l’ex procuratore della Repubblica di Crotone, Franco Tricoli, ha assunto l’incarico di presidente del blind trust delle aziende di Vrenna. Nei giorni scorsi la Prefettura di Crotone non ha rilasciato alle aziende di Vrenna il certificato antimafia. «Non volendo in questa sede – aggiunge Vrenna – rammentare la relatività del giudizio di colpevolezza fino ad oggi espresso dal giudice di primo grado nei miei riguardi, non foss’altro che per la mancanza di definitività del giudizio stesso, e non intendendo ricorrere a frasi del tipo ‘ho fiducia nella giustizià, che si risolverebbero in vuote formule di stile, se non fossi veramente animato da tale fiducia, rimango sbigottito di fronte alla presa di posizione, accanita, assunta da parte di alcuni esponenti politici locali (anche con ruolo istituzionale) e del Parlamento, i quali ultimi dimostrano, invece, disinteresse, almeno per ciò che risulta mediaticamente, per fatti di spiccata gravità che, costantemente, vengono accertati giudiziariamente e che danno conto di malgoverno e di commistioni mafioso-politiche nella nostra regione, tutt’altro che di minima importanza. I criteri guida di fronte a tali opzioni sfuggono a chiunque. Sta di fatto che, da persona responsabile quale ritengo di essere, all’indomani della mia condanna, ho immediatamente rimesso tutte le cariche, allontanandomi drasticamente, in particolare, proprio da quelle aziende che considero una creatura mia e di mio fratello e che non possono essere infangate o messe in discussione da strumentali, surrettizi e sibillini collegamenti. Cosa mi si poteva chiedere ulteriormente? È certo triste e sconsolante che oggi qualcuno, su una testata nazionale, si permetta, addirittura, di appellarmi in maniera denigratoria (ma di ciò si occuperà il giudice penale da me investito con atto di querela nei confronti del giornalista), strumentalizzando una vicenda processuale che mi auguro al più presto possa far venir fuori la mia più assoluta estraneità a quelle infamanti accuse che ingiustamente mi vengono mosse». «Rammento – afferma ancora Vrenna – che altro provvedimento giurisdizionale, diverso alla sentenza di condanna, pronunciato da altro giudice che si è occupato processualmente degli stessi fatti, ha ritenuto che io fossi vittima e non concorrente esterno di un’associazione. Sta di fatto che tutti si sentono in diritto di colpirmi, senza prima verificare chi effettivamente io sia. Sicuramente non sono un mafioso ed anzi aborrisco pubblicamente e privatamente la mafia. La cosa più grave è che tutti coloro i quali insistono a colpirmi, etichettandomi in maniera negativa, oltre a non conoscere nulla di me, della mia persona e dei miei principi, non sanno o forse fanno finta di non sapere che io, fino ad epoca attuale, sono stato vittima di minacce ed ho subito incendi e distruzione di mezzi delle mie aziende. Sarebbe bene che si documentassero prima di esprimere giudizi. Mi chiedo solo perchè sta accadendo tutto ciò e che cosa ho fatto di male o quali interessi sono in gioco per giustificare la mia morte civile. Attendano costoro, per come faccio io, l’epilogo giudiziario definitivo e non insistano in iniziative che sembrano ispirate più da un maldestro tentativo di creare instabilità e disinformare strumentalmente l’opinione pubblica, che dallo spirito di rappresentare la verità.

(Fonte: Ansa)

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