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Associazione a delinquere finalizzata alla commissione di truffe, estorsione e violenza sessuale di gruppo per impedire ad una delle vittime di sporgere denuncia. Queste le gravi accuse per cui, a vario titolo, dodici persone sono state rinviate a giudizio, nell’ambito di un’inchiesta su un sistema cosiddetto di «multi level marketing», operante nella commercializzazione di monete d’oro. Un’attività meglio nota come «catena di Sant’Antonio», che in realtà avrebbe avuto tutte le caratteristiche di una sorta di «setta» con tanto – scrive la Procura della Repubblica – «di continui atti di pressante coartazione psicologica, spesso consistenti in prove di resistenza fisica e psichica o in vere e proprie sevizie».
La decisione è arrivata oggi dal giudice per le udienze preliminari di Catanzaro, Antonio Battaglia, che ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio ribadita in aula dal pubblico ministero Andreana Ambrosino, prosciogliendo contemporaneamente gli imputati per singole contestazioni di truffa per intervenuta prescrizione. Le condotte contestate, infatti, risalgono agli anni fra il 1998 ed il 2004, ma molto tempo è trascorso prima che la vicenda giudiziaria arrivasse in aula, per via di un conflitto di competenza tra Catanzaro e Velletri, sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di cassazione che, nel marzo 2006, ha affidato il caso alla competenza dei giudici del capoluogo calabrese. Dopo la pronuncia di oggi, al processo che avrà inizio davanti al tribunale collegiale di Catanzaro il 18 febbraio prossimo, e cui parteciperanno circa sessanta parti civili rappresentate dall’avvocato Teti. Il lungo, complesso e dettagliato elenco dei capi d’imputazione riassume la vicenda – di cui si occupò anche la trasmissione «Mi manda Rai Tre» nella puntata del 16 aprile 2003 -, che ruota attorno ad un’organizzazione «gerarchica e piramidale», in cui erano presenti vari «livelli» di competenza. Gli aderenti al gruppo, molto in sintesi, avevano il compito di trovare nuove «leve», convincendole ad aderire al progetto finanziario definito «Aurum Intrenational Project», che si basava sulla vendita di quote/pacchetti oppure di acconti di prenotazione per l’acquisto di monete d’oro denominate «bullion» – che in realtà, però, nessuno ha mai visto, poichè al loro posto venivano dati dei voucher -, per conto della società inglese «Bolin International Traders», spacciata per un sodalizio ricco e potente.

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