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La più grande catastrofe che il giovane stato italiano si fosse mai trovato a affrontare fu il terremoto alle 5:21 di mattina del 27 dicembre 1908 colpì Messina, Reggio Calabria e altri paesi dello Stretto. A cento anni esatti da quell’evento, escono alcuni libri a all’Accademia dei Lincei mercoledì si svolge una giornata di studi che, partendo dalla ricorrenza del “più disastroso evento sismico che abbia mai funestato l’Europa», affronta lo stato dell’arte della previsione dei terremoti e della sorveglianza sismica di un territorio. La Rai prepara da parte sua un grande film in due puntate, in collaborazione con la tv russa, visto che i primi eroici soccorsi alla popolazione vennero proprio da marinai di due navi russe in porto in quei giorni. L’avvenimento è stato celebrato anche con l’emissione di un francobollo da 0,60 euro. Cento anni fa, volontari da tutte le regioni italiane si misero in viaggio per attraversare l’Italia con i mezzi di allora, questo in un paese in cui gli italiani, secondo quello che era diventato persino un luogo comune, erano ancora da fare, avevano problemi con un’identità collettiva e si collegavano quasi solo alla località geografica di appartenenza, alla famiglia, al massimo alla religione o alle idee politiche, come fa notare John Dickie, che non a caso intitola la sua ricostruzione del celebre terremoto di Messina ‘Una catastrofe patriotticà. Le scosse sismiche, seguite dal maremoto, distrussero anche i sistemi di trasporto e di comunicazione, ostacolando l’opera di soccorso che registrò appunto una straordinaria solidarietà da parte dell’intero paese. Storico e giornalista, lettore all’University College di Londra, Dickie cerca di rendere l’atmosfera di allora, citando quotidiani e riviste che, del fatto, parlarono come non era mai accaduto prima con nulla, sino alla saturazione: «Il luogo del disastro subì un sovraccarico semiotico: sotto lo sguardo inorridito di un pubblico nazionale, ogni scena diventò un simbolo, ogni aneddoto l’involucro di una verità più ampia». Il sisma distrusse il 90% degli edifici di Messina e anche Reggio Calabria subì danni vasti e tremendi. Il numero delle vittime, a che ancora oggi nessuno conosce se non in mniera approssimativa, fu altissimo e dei 130 mila abitanti di Messina di quel 1908, oltre 80 mila non sopravvissero, mentre a Reggio Calabria le perdite arrivarono a 15 mila su 45 mila abitanti, senza contare i morti dei centri minori. Un decreto istituì la legge marziale sui luoghi del disastro, affermando che la situazione fosse «per certi versi identica e per altri più grave di quella che si verifica in territori in stato di guerra». Una similitudine che ricorre in tutti i servizi e le memorie dell’epoca. Giovanni Pascoli scrisse: «Si direbbe che nei luoghi, dove fu tradizione che per primo sonasse il nome d’Italia, per l’Italia tutta, Messina e Reggio offrissero la loro vita gloriosa». Seguendo un’idea nata a Catania nei giorni subito successivi, in varie città italiane si organizzarono sfilate di beneficenza, con carri accompagnati da una banda musicale su cui la gente gettava vestiti, coperte e tutto quanto poteva essere utile ai superstiti. Iniziative fiorirono ovunque e, per esempio, a Bergamo tutti bambini ricevettero a scuola salvadenai in cui mettere monetine per le vittime. Dickie analizza le reazioni, gli scritti, la retorica e la realtà che andò costruendosi per mettere in luce «il movimento di solidarietà patriottica» che lo studioso vede come essenziale per «qualsiasi analisi del ruolo del patriottismo nella storia italiana», visto che il disastro mise in luce «una nuova, accresciuta partecipazione alla vita pubblica».

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