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Giusto il tempo di leggere le motivazioni e di redigere l’atto di opposizione. La Procura di Cosenza è prontamente ricorsa in Cassazione contro la sfilza di revoche decise nei giorni scorsi dal Tribunale della Libertà di Catanzaro, cui erano ricorsi gli avvocati difensori dei settanta infermieri professionali accusati, nell’ambito dell’inchiesta denominata “Gutenberg” e condotta lo scorso 10 dicembre dai carabinieri di Cosenza e del Nas di Napoli, di aver prodotto all’atto dell’assunzione falsi diplomi. Come si ricorderà il Riesame ha revocato tutti gli arresti domiciliari.
Misura, quest’ultima, che lo stesso Tdl ha concesso, a seguito del ricorso dell’avvocato Sergio Sangiovanni, all’indagato numero uno, ossia Damiano Taraso, che per questa vicenda ha scontato quasi tre settimane di carcere.
Il ricorso alla Suprema corte, firmato dal procuratore capo Dario Granieri e dal pubblico ministero Francesco Minisci, è stato depositato in cancelleria ieri mattina, una settima dopo la pubblicazione, da parte del Tdl, delle motivazioni.
Un passaggio scontato, quello della procura bruzia, che ha fortemente contestato l’ordinanza giunta da Catanzaro.
Come si ricorderà, il Tdl, citando una sentenza della stessa Cassazione, aveva in sintesi motivato che se truffa c’è stata, essa andava contestata agli attuali indagati al momento dell’assunzione, quando cioè gli infermieri produssero i presunti falsi diplomi. Il reato in questo caso verrebbe a cadere, in quanto caduto in prescrizione (si sta parlando, relativamente alle assunzioni, di fatti avvenuti anche una trentina di anni fa).
E poi, sempre secondo il Riesame, la pubblica amministrazione (in questo caso il Sistema sanitario nazionale) non ha subito danni economici, in quanto gli indagati sono stati pagati per il servizio che hanno effettivamente prestato all’interno dei presidi sanitari e delle cliniche del Cosentino.
«La truffa finalizzata all’assunzione ad un pubblico impiego si consuma – hanno scritto i giudici del Riesame presieduto da Pietro Scuteri – nel momento della costituzione del rapporto impiegatizio, sempre che sia individuabile e dimostrata l’esistenza di un danno immediato ed effettivo, di contenuto economico-patrimoniale che l’amministrazione abbia subito all’atto ed in funzione della costituzione del rapporto medesimo».
Per il Riesame, dunque, «i comportamenti trasgressivi descritti nell’imputazione non integrano gli estremi della truffa». Di tutt’altro avviso, la procura di Cosenza. Nel suo ricorso scrive di motivazione illogica. Per il procuratore Granieri e il pm Minisci la truffa c’è tutta e il reato non può ritenersi prescritto: «Trattandosi di rapporti lavorativi perduranti negli anni – scrissero non a caso i magistrati titolari dell’inchiesta nell’ordinanza con la quale lo scorso 10 dicembre furono applicate le varie misure cautelari – il momento consumativo del reato, tenuto conto anche del contestato vincolo della continuazione, coincide con quello di erogazione dell’ultimo rateo di retribuzione, poichè proprio la corresponsione degli stipendi mensili concretizza il danno per le strutture, pubbliche o private accreditate, presso le quali gli infermieri espletano o hanno espletato l’attività lavorativa». Insistendo su tale tesi, la procura chiederà alla Cassazione di annullare l’ordinanza con la quale sono state disposte le scarcerazioni e di inviare gli atti ad una nuova sezione del Tdl per riesaminare le posizioni degli indagati.

Roberto Grandinetti

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