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«Il caso che riguarda la morte di Federica Monteleone merita certamente una risposta che vada verso ciò che vuole la giustizia: il rispetto della verità». A dirlo sono i periti di Maria (nella foto) e Pino Monteleone, i genitori della giovane sedicenne morta il 26 gennaio 2007 in seguito alle complicazioni emerse nel corso di un intervento di appendicectomia (durante il quale, tra l’altro, si è verificato un black-out elettrico in sala operatoria).
La relazione con le controdeduzioni di Arcangelo Fonti e Vannio Vercillo, è stata depositata agli atti del processo ormai da tempo, per la precisione dal 12 giugno 2008, ma sul contenuto della stessa, a parte qualche stralcio emerso di tanto in
tanto, è stato mantenuto un certo riserbo. Quello che si sa è che la tesi dell’elettrocuzione non è certamente quella ritenuta più credibile, anzi viene
ampiamente contestata con dati direttamente connessi all’esame autoptico fatto dal
perito del pm Pietrantonio Ricci. Ma al di là del contenuto in sé, che comunque suggerisce attente riflessioni e che sarà sicuramente e debitamente approfondito
in sede di udienza (sempre che nel frattempo non vi siano evidenze che portino ad un regresso del procedimento alla fase preliminare a causa del tardivo deposito della perizia Monti nella sua versione definitiva), ciò che della perizia balza immediatamente agli occhi è il fatto che, partendo da presupposti del tutto diversi, sia i periti della parte offesa che il perito del pm Dario Monti (che ha relazionato sullo stato degli impianti elettrici della sala operatoria) su alcuni
punti si trovano quasi perfettamente d’accordo.
La scossa elettrica
Per Dario Monti sotto un profilo strettamente tecnico il rischio di microshock per il cuore era «assai remoto» e, comunque, anche ammettendo l’ipotesi di una scossa elettrica il perito si affretta a ricordare «la non pericolosità di tali correnti». Dall’altra parte, sotto il profilo medico Fonti e Vercillo arrivano a scrivere che «le conclusioni a cui il ctu (Ricci, ndr) è giunto non sono corroborate dai risultati degli accertamenti effettuati, in particolare (…)
mancano i reperti autoptici e microscopici che caratterizzano la morte per elettrocuzione». Il che significa che non esisterebbero i “sintomi” propri di
una morte conseguita in seguito a scossa elettrica. Esattamente l’opposto che attesta Ricci quando afferma che «è dato di certezza la presenza di lesione cutanea (…) che attesta inequivocabilmente un passaggio di corrente elettrica».
L’arresto cardiaco
Ma ancor maggiori appaiono i punti di contatto con la perizia Monti (e di contrasto con la Ricci) in relazione al fatto che Federica, nel corso del black out, non avrebbe avuto alcuna fibrillazione ventricolare ciò in quanto «in quel caso – scrivono Fonti e Vercillo – il passaggio della corrente avrebbe dovuto determinare non certamente la bradicardia bensì (…) una tachicardia e l’arresto cardiaco immediato in completa assenza di pressione arteriosa enon già ipotensione
e bradicardia», tesi estremamente prossima a quella esternata da Monti quando afferma che «non risulta evidenza clinica di fibrillazione ventricolare durante l’intervento che è tra l’altro un fenomeno irreversibile (…) a meno di intervenire con un defribrillatore». Dato squisitamente medico questo (che esula, quindi, da possibili modifiche non autorizzate all’impianto elettrico della sala
operatoria dopo l’intervento) evidentemente contrastante con la tesi di Ricci per il quale «tale passaggio (di corrente elettrica, ndr) ha instaurato un arresto del circolo ematico per un deficit di pompa cardiaca (arresto cardiaco o aritmia da fibrillazione ventricolare)».

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