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di ANDREA ILLIANO
Porto distrutto, stradine interpoderali invase dal fango. I danni per Cirò Marina sono di sei milioni di euro. Tutto fermo, tutto immobile, anche l’economia. Il Comune cirotano lancia l’allarme. Le barche, quelle delle flotte dei pescatori sono ferme, sulla sabbia. Le case tremano. La pesca è ferma, il porto distrutto.
L’immagine è quella del “the day after”, solo che i danni sono stati fatti dalla pioggia, dirompente, incessante dello scorso dicembre e gennaio.
Nessun risarcimento c’è ancora stato. Il Comune attende. E’ entrato nelle zone colpite dalla calamità naturale, ma i soldi non arrivano e ciò che di buono, negli anni, era stato seminato ora è distrutto: pesca e vigneti.
Ecco la risorsa vincente del cirotano, ma è stata cancellata dalla pioggia.
Le barche dei pescatori sono ormai “parcheggiate” tra le case. La sabbia è ovunque. E c’è chi ha paura. Troppe sarebbero le spese per l’ente locale, se volesse ripristinare tutto. Bastipensare che sul porto un lungo pontile di cemento è in parte crollato e la scogliera non ha retto ai flutti del mare.
«Abbiamo avuto un finanziamento di due milioni di euro – dice l’ingegnere capo del municipio – prima ancora del nubifragio, ma potevano servire solo per fare la manutenzione. Ora c’è bisogno di altro. Di una sistemazione seria». Magari di una barriera flangiflutti. Eppure qui a Cirò Marina, in fondo era già tutto previsto. Basti pensare che il dissesto idrogeologico è storia vecchia. In una nota della presidenza del consiglio dei ministri di un anno fa, è tutto documentato e l’allarme è lanciato: il territorio cirotano è oggetto di dissesto idrogeologico. C’è una faglia che spacca la terra. E giù dalle colline scende terra e fango. Poi ci si è messa la pioggia, il nubifragio e il porto è stato spazzato via. In un colpo. Un anno fa la Presidenza del consiglio dei ministri avvertiva la prefettura e la Regione che bisognava agire e presto: il disastro idrogeologico era stato documentato.
E la nota, giunta in regione e in municipio, un anno fa dice testualmente: «Atteso che il dissesto per natura ed estensione non permette la realizzazione di interventi risolutivi di mitigazione del rischio e di messa in sicurezza degli esposti, si ritiene di dover provvedere al mantenimento delle norme di salvaguardia e dovrà la Regione farsi carico di effettuare un’analisi approfondita degli edifici che presentano lesioni, di individuare dei possibili interventi di messa in sicurezza del pontile, ubicato in corrispondenza della testata del canyon e quindi potenzialmente coinvolto in una nuova ulteriore evoluzione del dissesto e valutare, infine, l’opportunità della delocalizzazione
dell’edificio scolastico “Butera”».
L’unico intervento realizzato è quello di “sorvegliare” la scuola che è appunto in pericolo. Lo sta facendo il Comune, naturalmente. Il resto è stato dimenticato. Nonostante i continui appelli del Comune. Il vicesindaco di Cirò Peppe Russo ha consegnato di persona nelle mani del capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso tutta la documentazione relativa ai danni riportati.
«In questa vicenda bisogna andare fino in fondo e il Comune farà la sua battaglia», dice Russo. Il Comune è deciso, anche perché qui arrivano tante proteste, quelle dei pescatori, quelle degli agricoltori e dei cittadini.
«Ci ritroviamo pure con la rete fognaria intasata – dice il vicesindaco, Peppe Russo – Noi abbiamo fatto lavori di somma urgenza, ma qui è necessario un intervento serio. E’ la Regione, lo Stato che devono darci delle risposte.
Ora e non più tardi, anche perchè la situazione è veramente allarmante». Basti pensare che le strade poderali sono ormai distrutte e neanche i contadini possono avere accesso ai campi. E poi c’è la questione dell’erosione della costa, anche per questo c’è un progetto del Comune, al vaglio della Regione.
Non ancora approvato. O meglio finanziato in parte dall’Apq, ma con un finanziamento di 500mila euro. Non bastano. Lungo la strada che porta alla fabbrica più grande che c’è, quella del sale, di proprietà dell’Eni, c’è una pineta, oggi dell’ente locale, e poi un’area vasta dove è sepolto di tempio di Apollo.
Altre risorse. Altra energia. Altri fondi di cui si attende risposta. E’ questa Cirò Marina, mare, terra coltivata a vigneti e archeologia. Se ci fossero le risorse. Se lo Stato, la regione decidesse di investire in un lembo di terra, dove invece di fiorire la criminalità organizzata potrebbe vedere crescere ciò che buono c’è in Calabria.
Non accade così a Cirò Marina, nonostante gli appelli della giunta e del sindaco e di tutte le forze politiche. Tutto vano. E’ come se una aprte del crotonese fosse stata dimenticata, anche adesso che i danni del nubifragio nonostante qualche barlume di sole, fanno sembrare ancora il porto e il lungomare come una scena d’altri tempi, apocalittica, lunare. E neanche basta. La Protezione Civile deve appurare i danni. Intanto l’economia è al tracollo e diventa difficile anche la vivibilità se il Comune deve far fronte alla sicurezza solo con qualche spicciolo, magari preso dalle casse comunali. Eppure il dissesto idrogeologico è stato appurato, studiato. E non basta. Nulla si muove, anche se è tutto documentato tra missive e faldoni di studi universitari. «Noi andremo avanti nella nostra battaglia – dice il vicesindaco Peppe Russo – non lasceremo che il nostro territorio sia abbandonato a se stesso. Arriveremo fino a Roma se è necessario, perchè dobbiamo salvare questa terra. Qui si tratta di ripristinare l’economia di un’area. E non si può più far finta di niente. Chi viene a Cirò Marina si rende conto di ciò che è accaduto».

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