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di SIMONA NEGRELLI
A imbrigliare l’orrore in cifre, statistiche, etnie, si rischia di sterilizzarlo. Ma è leggendo meglio i numeri e le percentuali che si percepisce meglio la società in cui si vive, magari evitando strumentalizzazioni politiche, distorsioni elettoralistiche, pregiudizi.
«Negli ultimi due anni abbiamo ospitato soprattutto ragazze dell’Est europeo, albanesi, rumene, che avevano subito violenza da un compagno italiano, da cui magari avevano avuto anche dei figli».
Rumene come la badante di 44 anni (che nella foto mostra alcuni segni della violenza subita) che è appena scampata a venti giorni da incubo. Una violenza doppia, perché anche l’indifferenza colpisce come un calcio, un pugno, uno schiaffo. A parlare è Daniella Ceci, operatrice del centro contro la violenza alle donne Roberta Lanzino di Cosenza, che funziona anche come Telefono rosa della Calabria. In un ritaglio di tempo, prima della riunione con le altre operatrici del centro sorto in memoria della ragazza che invece all’orrore non è riuscita a scampare, fornisce i dati sulle violenze sessuali raccolti dalla struttura in tutta la Calabria.
Quelli più recenti si riferiscono al 2007, anno in cui il centro ha ricevuto dalla regione 130 chiamate. Tra questi contatti compaiono le 57 donne che sono andate di persone al centro, mentre solo 36 hanno chiesto assistenza legale per sporgere denuncia.
Andando più nel dettaglio, il 62% delle chiamate proveniva dalla provincia di Cosenza, il 16% da quella di Catanzaro, dalla provincia di Reggio Calabria a chiedere aiuto è stato solo un 8% delle donne, poco più della provincia di Vibo, col suo 4%, mentre la provincia di Crotone sembra essere un’isola felice, perché almeno da quel territorio proprio nessuna chiamata è arrivata al Telefono rosa del centro Lanzino nel 2007. Certo, la provincia di Cosenza è la più vasta d’Italia, ma un così alto numero di richieste d’aiuto la Ceci lo spiega diversamente. «Le denunce arrivano di più nei luoghi dove c’è stata maggiore sensibilizzazione sull’argomento». E la presenza sul territorio da ventun’anni di un centro contro la violenza alle donne qualcosa vorrà dire. E comunque «in questi ultimi anni le denunce in Calabria sono aumentate in generale».
La Ceci va ancora più nel dettaglio, delineando il profilo dello stupratore. Nel 75% dei casi denunciati in Calabria nel 2007 (ma lo ricordiamo, si tratta sempre di cifre e testimonianze raccolte dal Telefono rosa), l’autore è il partner, nel 10% si tratta di un familiare, nel 6% di un conoscente, nel 2% di un estraneo e un altro 2% è rappresentato dal datore di lavoro.
Ancora: nel 98% dei casi l’autore è un italiano e solo il 2% è straniero. Ma i dati riguardano anche il tipo di abusi che le donne calabresi hanno subito nel 2007 : nel 70% dei casi le vittime hanno subito violenza fisica e psicologica insieme, come nel caso in cui il partner impedisca alla propria donna di uscire di casa o di avere rapporti sociali; nel 10% dei casi si tratta di violenza che la Ceci definisce “economica”, quando la donna non abbia accesso al proprio stipendio, nel 10% dei casi la violenza è solo sessuale e per un altro 10% si tratta di stalking, cioé le molestie attraverso pedinamenti, telefonate insistenti e intrusioni nella vita privata. Ma non è sempre facile uscire allo scoperto, decidere di affidarsi alla giustizia.
«Spesso passa molto tempo da quando si presenta una denuncia alla celebrazione del processo – dice Marina Pasqua, legale del centro Lanzino – e per una donna diventa un’avventura assai faticosa, è come rivivere la violenza».
Poi ci sono i pregiudizi, un nuovo calvario da affrontare.
«Accade ancora che la donna venga trattata come se avesse concorso in qualche modo alla violenza con l’abbigliamento, gli stili di vita, cosa che non accade per gli altri reati. Ora abbiamo una buona legge e una buona giurisprudenza, – conclude la Pasqua – ma culturalmente ancora molto deve cambiare».

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