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Materiale scadente, imprese subappaltatrici legate alla ‘ndrangheta e il pagamento di tangenti equiparate a vere e proprie tasse. L’ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria ha significato, e continua a significare, tutto questo per la criminalità organizzata calabrese. Fiumi di denaro finiti a incrementare i guadagni di cosche e di personaggi impegnati nella mediazione e nella gestione degli affari. Uno schema emerso, ancora una volta, nell’operazione “Autostrada” dei carabinieri dei Ros e dei comandi provinciali di Vibo Valentia e Catanzaro, che ieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di due persone, con una terza che è ancora ricercata. In manette due imprenditori, su disposizione del gip del Tribunale di Catanzaro e su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, Salvatore Mazzei, 53 anni, di Lamezia Terme, e Antonino Chindamo, 34 anni di Vibo Valentia, mentre è ancora ricercato Giuseppe Prestanicola, imprenditore, anch’egli di Vibo Valentia. Nei loro confronti le accuse di concorso in associazione mafiosa ed estorsione aggravata dai metodi mafiosi. Con loro il potere della cosca Mancuso di Limbadi, capace di orchestrare un controllo totale e perfetto nella gestione dei lavori e degli appalti per l’A3.
Ogni chilometro compreso nel tratto tra Lamezia Terme e Pizzo Calabro, con attese interminabili per la fine dei lavori, era finito nelle mani delle cosche. Nessuno poteva rifiutarsi, nemmeno grandi imprese nel mondo delle costruzioni, come Todini, Asfalti Sintex e Toto. Anche loro dovevano, senza se e senza ma, corrispondere l’uno per cento sull’importo dei lavori, oltre agli obblighi legati alle ditte da utilizzare. Un sistema bene organizzato, gestito in particolare da Salvatore Mazzei, che tra l’altro è titolare di una cava a Lamezia Terme a lungo posta sotto sequestro, considerato dagli inquirenti vicino alla cosca Iannazzo. Ma il suo ruolo sarebbe stato molto più importante di un semplice imprenditore prossimo alla criminalità, al punto che Mazzei avrebbe guadagnato, secondo le indagini, cifre iperboliche. Non si sarebbe accontentato di imporre alle imprese appaltatrici la fornitura di materiale inerte e calcestruzzo di qualità scadente. Le ‘ndrine volevano di più. Così Mazzei era in grado di impegnarsi come mediatore tra le imprese e le cosche, imponendo i subappalti a vantaggio delle ditte controllate ed escludendo quelle che non facevano parte del meccanismo. Tutto questo garantiva cantieri “tranquilli”, dal momento che ognuno aveva la propria fetta e nessuno poteva lamentarsi.
Una scelta che avveniva soprattutto a discapito della qualità dei lavori dal momento che il pizzo, secondo quanto riscontrato nelle indagini, veniva pagato grazie alla sovrafatturazione del materiale. Fatture gonfiate che, insieme alla scarsa qualità dei prodotti utilizzati, garantivano cifre imponenti e guadagni senza precedenti. Inutili persino i controlli dell’Anas, per i quali si era riuscito a organizzare anche l’arrivo di materiale idoneo quando i tecnici “osavano” presentavano nei cantieri. Così come inutili erano i tentativi di imprenditori “puliti” di arrivare a lavorare sull’autostrada; per loro, infatti, erano pronte minacce e intimidazioni. Nessuno doveva frapporsi tra la pioggia di milioni di euro che arrivavano per l’A3 e i guadagni ingenti della ‘ndrangheta. Fino al blitz di ieri che fatto piena luce sull’ennesimo controllo criminale nella realizzazione di appalti pubblici, dal controllo indiretto sui bandi di gara, alla fornitura dei materiali, fino all’ultimo affare sul quale lucrare.

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