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di FRANCESCO RIDOLFI
A distanza di oltre due anni dal quel 19 gennaio 2007 in cui iniziava il doloroso calvario che sette giorni dopo avrebbe portato la sorella Federica alla morte in seguito alle complicazioni (fra cui un black out elettrico) emerse nel corso di una operazione presso lo Jazzolino di Vibo Valentia, Saverio Monteoleone, 14 anni, ha voluto ringraziare i medici dell’Ospedale Pugliese di Catanzaro che l’hanno operato con successo di appendicectomia, lo stesso intervento che per Federica, che all’epoca non aveva ancora compiuto 16 anni, si rivelò come il punto di non ritorno fra la vita e la morte.
«Oggi – ha affermato in una lettera aperta il giovane – dopo due anni, posso tranquillamente dire e senza aver alcun timore che basta amore nel fare le cose e
tutto va per il verso giusto».
Il ragazzo, nella sua lettera ha voluto raccontare l’intero iter operatorio affrontato durante gli scorsi giorni spiegando che «la mattina del 20 marzo dopo la consulenza del dottore Vincenzo De Maria – scrive – mi sono dovuto recare all’Ospedale Pugliese di Catanzaro a causa di una fortificazione della crisi
appendicolare già diagnosticata nei giorni passati. Arrivati in ospedale non potete immaginare la tensione presente in me, perchè l’ambiente ospedaliero di per sé, imprime una forte tensione, ma ringraziando il buon Dio ho trovato in questa sede ospedaliera tanto amore partendo dal primario Renato Rubino finendo agli infermieri di reparto». Il piccolo Saverio racconta che «non avrei mai immaginato di entrare nella sala operatoria con estrema tranquillità per non dire
scherzando con la dolce anestesista che mi ha seguito nel tempo trascorso sul lettino operatorio. Nonostante la mia fosse appendicite acuta flemmosa con peritonite pelvica devo dire che l’intervento, perfettamente riuscito, si è svolto con estrema sicurezza cosa che – denuncia il quattordicenne – non è stata apportata durante l’intervento di mia sorella. Non mi resta che ringraziare tutti
coloro che sono riusciti con devozione e professionalità a liberare il cuore dal terrore dell’appendicite che mi aveva fatto passare, nell’arco di due anni, notti in bianco e piene di ricordo».

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