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Il destino si accanisce di nuovo con un ko mortale contro un campione di pugilato. Stavolta il colpo non arriva sul ring, ma in uno spaventoso incidente d’auto. Lo sport italiano piange Giovanni Parisi, in arte ‘Flash’ (il soprannome, a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, se l’era guadagnato per quel destro rapido e potente che sapeva assestare in aggiunta alla sua boxe molto tecnica), morto sulla tangenziale di Voghera, in provincia di Pavia.
L’ex pugile aveva 42 anni, viaggiava a bordo della sua Bmw e si è scontrato con un Iveco Daily. Lo sportivo è morto sul colpo ed è stato estratto dalle lamiere in tarda serata. L’autista del camion è stato trasportato all’ospedale di Voghera e non è in pericolo di vita.
«Sono di quelle notizie che ti spezzano il cuore». Così Patrizio Oliva commenta la morte di Parisi. «Ho perso un amico – continua- era un bravo ragazzo, una persona eccezionale. L’ho seguito a Seul quando è diventato campione olimpico e io dissi che la sua era una medaglia più bella di quella mia a Mosca, perchè aveva lottato con i più forti avversari delle nazioni maggiormente competitive, mentre le mie olimpiade erano dimezzate per problemi politici. Fu una grande vittoria di Giovanni. Chi era Parisi? Il suo palmares parlava chiaro, ha vinto tutto, campione del mondo in due categorie, un grosso picchiatore con tutte e due le mani, un pugile completo. Lo avevo seguito fin da ragazzino e avrei scommesso che sarebbe diventato un grande campione. Quali erano i suoi progetti? Come tutti noi che amiamo questo sport voleva rimanere nell’ambito della boxe e voleva dedicarsi all’organizzazione. Sarebbe stata una gran bella cosa per tutto il movimento».
Sul quadrato la sua carriera non fu certo una meteora, dal titolo olimpico di Seul fino alla sfida mondiale a Chavez, a Las Vegas. Nato a Vibo Valentia ma da un trentennio residente a Voghera, Parisi aveva anche provato un ritorno alla sua nobile arte nel 2006, dopo una carriera di pugni, vittorie, ko e polemiche. Come quando la consegna del collare d’oro per quel successo olimpico nel 1988 – un ko nella finale dei piuma contro il romeno Dumitrescu – fu accolta con una battuta sprezzante: ‘ora manca che mi diano il collarè.
Timido, schivo, leggero e molto tecnico in linea con la scuola italiana del pugilato, Parisi aveva combattuto 47 incontri, e ne aveva vinti 41 di cui 29 per ko. Solo cinque le sconfitte, di cui tre volte per essere andato al tappeto, e un pari. Il suo palmares comprendeva, oltre all’oro di Seul, due titoli mondiali WBO, quello dei leggeri detenuto dal ’92 al ’93, e quello dei superleggeri, tra il ’96 e il ’98. Rivale in Italia di Gianfranco Rosi, Parisi non era rimasto nei limiti del ring tricolore: nel ’95 esportò i pugni italiani oltre Oceano, combattendo sul ring di Las Vegas contro il messicano Julio Cesar Chavez. «Per me è una perdita dolorosissima – ricorda oggi Franco Falcinelli, presidente della federpugilato e nell’88 commissario tecnico di quell’Italia di cui Parisi fu simbolo olimpico – Ricordo ancora quando, finito il match, Giovanni alzò le braccia al cielo e dedicò la medaglia d’oro alla madre scomparsa da poco». Sofferenza e dedizione per rimanere nel peso. E grandissima determinazione. Questo, ricorda il suo ct degli anni d’oro, era Parisi. Finchè il destino non lo ha colpito duro incrociandolo su un’autostrada di Voghera.

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