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Luciano Criseo aveva 55 anni ed era padre di tre figli di appena 19,16 e 14 anni. Gestiva a conduzione familiare un ristorante che è rinomato in tutta la Locride per la qualità della cucina soprattutto a base di pesce. Lo aveva messo in piedi la madre di Criseo nel centro storico di Brancaleone col nome di “Venezia”. Quando lo ha preso in mano, lo ha ribattezzato “da Luciano”. Controverso il giudizio sulla vita condotta da Criseo nel decennio che va dalla metà degli anni Ottanta alla fine degli anni Novanta. Proveniente da una famiglia stimata e “per bene”, frequentava quelle che vengono definitecattive compagnie, frequentazioni
che, secondo quanto raccolto, avrebbe continuato a mantenere anche in seguito.
Molto verosimilmente sarebbero state queste frequentazioni a farlo incappare nelle
maglie della Giustizia agli inizi degli anni Ottanta quando veniva accusato di aver incendiato l’auto di un geometra della Forestale, accusa quella che lo portò in carcere. Poi i rapporti con i suoi futuri cognati, Claudio e Francesco Panzera, già inseriti nel panorama ‘ndranghetistico dell’epoca e poi diventati collaboratori di Giustizia, avrebbero fatto il resto. Gli onori della cronaca
Luciano Cristo la guadagnava nel 1997 a seguito della cosiddetta operazione
“Vascello” coordinata dai sostituti procuratori della DDA reggina, Nicola Gratteri e Salvatore Boemi, contro una aggregazione di clan ‘ndranghitistici della provincia reggina dediti al traffico di droga ma anche alle estorsioni. Luciano Criseo era uno dei 94 indagati in quella operazione anche se poi uscì totalmente indenne da quella indagine. Pesanti le accuse che erano state
mosse contro di lui. Gli inquirenti lo indicaronocomeil capo promotore ed organizzatore una «associazione mafiosa armata» messa in piedi a Brancaleone, il cui campo d’azione, oltre a quello inerente il traffico della droga, era quello delle estorsioni ai danni degli operatori economici ed il controllo degli appalti pubblici con il lungimirante obiettivo di «assumere il totale controllo
di Brancaleone». In questo percorso di conquista verificatosi, secondo gli inquirenti, nel periodo che va dal 1987 al 1997 quando l’operazione “Vascello” veniva chiusa, diversi furono gli episodi intimidatori verificatisi a Brancaleone
ai danni di albergatori,di imprenditori ed amministratori comunali che vennero
attribuiti a Luciano Criseo ed al gruppo ‘ndranghetistico che avrebbe capeggiato: distruzione di ristorati e di alberghi, incendi di auto, spari. Le indagini però non approdarono a nulla. Del suo ruolo di capo, agli inquirenti parlarono anche i
suoi due cognati Claudio e Francesco Panzera. Furono loro che rivelarono i rapporti che il ristoratore di Brancaleone avrebbe avuto con diversi gruppi ‘ndraghetistici e camorristici che operavano nel campo del traffico della droga non solo in Calabria, ma anche in Lombardia ed in Campania. Secondo il racconto dei due collaboratori Criseo avrebbe trattato affari non solo con l’allora boss, e poi diventato collaboratore, Giacomo Lauro, ma anche con le cosche joniche-reggine, come quelle di Africo capeggiate da Giuseppe Morabito “u Tiradrittu”, o quelle dell’area di Bova e di Melito dei Maisano, ma anche con singoli gruppi come quelli dei fratelli Palamara ,dei Trunfeo e dei Gli gora.
Dopo quella fase “calda”, Criseo avrebbe messo la testa a posto gestendo il ristorante meta dei “palati fini” delle specialità culinarie a base di pesce.
I colpi di pistola che gli sono stati esplosi contro ieri mattina, davanti a casa, lascerebbero intendere che forse il cambiamento non sarebbe stato completo, oppure che qualche “fantasma del passato” sia ritornato a presentarsi per presentargli un conto salatissimo. Ma questo dovranno adesso stabilirlo gli
inquirenti.

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