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di ANTONIO MORCAVALLO

DUE tifosi cosentini sono stati diffidati (provvedimento Daspo) senza adeguate prove. Il primo, C.C. di Montalto, per una foto in cui appare con una bandiera in mano, il secondo, A.F. di Castrolibero, perché trovato in auto con un altro tifoso riconosciuto dalle forze dell’ordine tra i partecipanti agli scontri. Gli incidenti in questione sono quelli avvenuti il 3 agosto a Norcia, tra i supporter del Cosenza e del Siena, e che hanno portato a denunce, diffide e arresti nelle tifoserie rossoblù e dell’Ancona (riconosciuti come partecipanti agli scontri). Ad affermare l’infondatezza dei provvedimenti di divieto di accesso agli impianti sportivi per i due cosentini, la Prima Sezione del Tar dell’Umbria (presidente Pier Giorgio Lignani; Annibale Ferrari e
Pierfrancesco Ungari). Il Tribunale amministrativo ha accolto i ricorsi presentati dagli avvocati Giandomenico Carino (per C.C.) e Roberto Le Pera e Terenzio Fulvio Ponte (per A.F.).
Secondo i giudici del Tar «la partecipazione agli episodi di violenza» da parte di C.C. «non risulta dimostrata dalla Questura di Perugia in modo netto e documentato».
«Soprattutto, a suo carico – scrive nella sentenza il Tar – risulta soltanto una fotografia nella quale è raffigurato, con una bandiera in mano, insieme ad un gruppo di tifosi cosentini, a pochi metri da altri tifosi che appaiono intenti a scontrarsi con tifosi “avversari”. Ma mentre per questi ultimi il coinvolgimento negli episodi di violenza sembra innegabile, l’atteggiamento del gruppo di tifosi di cui fa parte il ricorrente appare suscettibile di interpretazioni diverse, e addirittura opposte.
Infatti, si potrebbe supporre che i predetti tifosi, posti in fila indiana su un muretto sormontato da una recinzione, stessero attendendo il proprio turno per entrare in contatto diretto con gli “avversari”; ma, al contrario, si potrebbe anche ipotizzare che stessero aspettando il momento propizio per allontanarsi dal luogo senza essere coinvolti negli scontri, non appena una pausa del parapiglia lo consentisse.
In definitiva, la fotografia allegata agli atti non consente di dimostrare che anche il ricorrente abbia partecipato ai fatti».
«E’ evidente – aggiunge la Prima Sezione del Tar dell’Umbria – che la partecipazione ad una trasferta per assistere all’incontro della squadra del cuore non può equivalere alla partecipazione ai fatti di violenza verificatisi in tale occasione. Nemmeno l’essersi trovato nell’impianto al momento degli scontri, ed anzi in prossimità dell’epicentro degli scontri, appare decisivo, potendo essere dovuto ad una circostanza fortuita e indipendente dalla volontà».
Per quanto riguarda A.F., i giudici ammettono che
«a suo carico risulta soltanto la circostanza di essersi trovato a bordo di un’autovettura fermata dai Carabinieri sulla S.S. Valnerina all’altezza di S.Anatolia di Narco, circa un’ora dopo i fatti, mentre procedeva in direzione Terni, insieme ad altri cinque tifosi cosentini.
Invero, uno di questi tifosi è stato identificato dai carabinieri come «uno dei lanciatori di sassi e pietre verso i tifosi senesi, forze dell’ordine e verso l’interno del rettangolo di gioco e per questo immediatamente arrestato».
Tale circostanza però «non sembra sufficiente a dimostrare che anche il ricorrente abbia partecipato ai fatti». Per i due tifosi rossoblù, insomma, la vittoria nelle aule di tribunale, ma anche la consapevolezza di aver subito una ingiustizia.
A dirlo, questa volta, non sono cori o striscioni “di parte”, ma il Tar.

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