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di PIETRO RENDE
Ha già rotto i freschi argini del “moderatismo” e cominciato a tracimare il candidato “in pectore” del Pdl alla presidenza della Regione Calabria. In una performance da “uomo sull’orlo di una crisi di nervi”, il sindaco Scopelliti ha preferito una metafora molto pedestre – che non si addice al suo pedigree di basket-man – contro il presidente della Regione, reo di lesa maestà per non aver manifestato pubblica esultanza davanti all’ennesimo annuncio e primo vagito parlamentare di una città dello Stretto, una vecchia idea degli architetti Samonà e Quaroni, la cui configurazione effettiva di là da venire se non si vuole ripetere il fallimento della “grande Reggio” di Genovese Zerbi, una esperienza che dovrebbe suggerire a un neo post-fascista di evitare i toni squadristici e di esibirsi almeno in redingote, come Mussolini davanti al re nel 1922, evitando qualsiasi pretestuosa contrapposizione all’unità della Calabria in nome di un disegno che implica anche il rischio di una sudditanza di Reggio a Messina, proprio come il ponte sullo Stretto che in aggiunta è diventato una “fata Morgana”.
Riproporre e alimentare la divisione della Calabria come fa il nostro, che ha pure finanziato un film finora clandestino sulla rivolta di Reggio, evidentemente vicino alla sua ispirazione irredentistica, inconciliabile con la candidatura a presidente di tutti i calabresi, non basta di certo a conferire un valore aggiunto a una interessante e nuova forma giuridico amministrativa di governance locale che ha bisogno di ben altre sostanziali quanto auspicate conferme gestionali. Alzare la voce prima del tempo è come ritornare agli altoparlanti delle adunate, anzi alle purghe e agli anatemi, ma se l’ultima cosa di cui la Calabria necessita è il ritorno dei “boia chi molla”, cosa ne penserà Fini? Crescerà la sua tristezza davanti a una caduta di stile istituzionale non meno grave di quelle che contesta a Berlusconi?

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