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1|8]di LUIGI LOMBARDI SATRIANI
I morti sono 230, migliaia i dispersi, oltre 70.000 gli sfollati: è il tragico bilancio (del resto provvisorio) del terremoto che si è abbattuto sull’Abruzzo in questi giorni, colpendo soprattutto, con la sua carica di devastazione e morte, L’Aquila e altricentri abruzzesi. Tale bilancio è destinato purtroppo ad aumentare, ingigantendo così tale tragedia. Essa è avvenuta quando non si era ancora spenta l’eco dell’iniziativa che specialmente in Calabria e a Messina sono state attuate in occasione del Centenario del terremoto (28/12/1908) che distrusse quasi completamente le due città sullo Stretto, facendo un numero elevatissimo di vittime.
Già sulla Calabria, e in particolare sul Vibonese, si era abbattuto il terremoto del 1905 e per quanto riguarda il nostro paese, in tempi relativamente più recenti, rimangono scolpiti nella memoria quelli del Friuli (1976), del Belice (1968), e dell’Irpinia (1980). Segni di una catastrofe ricorrente che incombe minacciosa sulle nostre giornate, marcando tragicamente la nostra storia.
Nella tragedia di questi giorni numerosi aspetti mi hanno colpito particolarmente e vorrei soffermarmi su alcuni di essi. Anzitutto, l’orgoglio e il senso di antica dignità mostrati dagli abruzzesi colpiti dal sisma che lo hanno affrontato con seria responsabilità. Evidenti anche il dolore e la paura: che tutto possa ripetersi nell’immediato, apportando ulteriori lutti, e di un futuro che appare quanto mai nebuloso e precario.
I sopravvissuti sono colti da una sorta di ebetudine stuporosa, di anestesia psichica, già notata da Barzini in occasione del terremoto del 1908. Mi sono soffermato su tale problematica in questa stessa rubrica, ricordando come la società elabori attraverso un’incessante opera di plasmazione, le categorie culturali che si pongono come essenziali strumenti per assumere la realtà, padroneggiandola, e trascenderla evitando, così, di restare schiacciati dalla sua datità. Loscorrere quotidiano dell’esistenza consente questo continuo scambio tra il fluire dell’esperienza, il suo contiinum – temporale e il piano delle categorie interpretative e degli scenari simbolici conferitori di senso. Dovrebbe essere superfluo ribadire al riguardo che tale conferimento di senso alle azioni è meccanismo indispensabile perché l’operatività umana si dispieghi nella concretezza dei giorni. Il terremoto, con la sua gigantesca potenza devastatrice, si abbatte anche su questa costruzione culturale, sospendendone, almeno temporaneamente, la vigenza. Sin dalle prime ore dalla catastrofe è scattata un gigantesco meccanismo di solidarietà: appartenenti alla Protezione Civile, ai Vigili del Fuoco, all’Esercito, alle Forze dell’ordine, alle altre articolazioni dello Stato, alle associazioni, numerosissimi volontari si sono prodigati e si stanno prodigando nell’opera di soccorso, riuscendo ad estrarre vive dalle macerie 150 persone ed evitando ulteriori tragedie. Associazioni e privati dimostrano la loro concreta solidarietà con offerte di attrezzature per far fronte all’emergenza, di coperte, di alimenti per lenire in qualche modo le sofferenze e i disagi degli sfollati.
Sono tali e tanti i gesti di concreta solidarietà che di fronte a essi sono poco rilevanti di episodi esecrabili di sciacallaggio verificatisi sin dalle prime ore del disastro. Solidarietà e partecipazione notevolissimi, certo; soltanto che esse dovrebbero avere la forza di dispiegarsi nel tempo; vi è, invece, il fondato timore che con il trascorrere del tempo questa tragedia scivoli, via via dalle prime pagine dei giornali alle pagine interne, sempre più costrette nello spazio e nell’attenzione, per finire nel dimenticatoio, scavalcata da altri eventi, tristi o lieti o fatui, che si presenteranno nel fluire dei giorni.
E invece si ha bisogno di una solidarietà lunga di fronte a tanta reale umanità dolente. Infine, è auspicabile che quanto è avvenuto rafforzi nel nostro Paese una cultura della responsabilità. Le Istituzioni devono assumere come è compito prioritario quello di procedere non a generiche e demagogiche declamazioni, che ammorbano la nostra vita politica, ma a una messa in sicurezza, puntuale e sistematica di tutti gli edifici pubblici a partire dalle scuole di ogni ordine e grado. La nostra regione è, secondo la mappa redatta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia richiamata ieri dal nostro giornale al secondo posto nel rischio sismico. Occorre, inoltre, potenziare al massimo la ricerca scientifica, che in Italia soffre costantemente per esiguità di fondi, chè anche nel settore della prevenzione può concorrere in maniera determinante a rendere meno gigantesche le proporzioni di siffatti disastri. E ad attenuare “la nostra incapacità, ignoranza o malafede nel rapportarci con il rischio è una delittuosa propensione a perdere la memoria degli eventi passati” (Mario Tozzi, in La Stampa, 7 aprile 2009). Questo, oltre all’indispensabile slancio di amore per i sopravvissuti, ci suggeriscono questi “giorni di miseria e di grandezza” per ricorrere alle parole di Grazia Deledda all’indomani del terremoto del 1908.

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