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L’operazione Ghibli eseguita ieri dai Carabinieri tra Crotone e l’Emilia Romagna è scaturita anche dall’apporto fornito dai collaboratori di giustizia ed ha portato all’esecuzione di 20 ordini di cattura (16 portati a termine) e numerosi sequestri.
Cinque anni di indagini nel corso dei quali il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, titolare dell’inchiesta, Sandro Dolce, ha presentato due distinte richieste di misure cautelari concesse dal gip distrettuale. Una risalente al 2007, ed un’altra al febbraio scorso.
In entrambe viene ricostruita la guerra di ‘ndrangheta nel crotonese tra i «Dragone-Arena» ed i «Grande Aracri-Nicoscia», ed anche i nuovi assetti fra i gruppi criminali della zona, nonchè l’omicidio di Pasquale Nicoscia ed il tentato omicidio di Domenico Bevilacqua, più noto come «Toro seduto».
«In tutta la prima tranche dell’inchiesta si è puntato sui tradizionali metodi di indagine – hanno detto i magistrati ieri in conferenza stampa -, soprattutto sull’indispensabile attività di intercettazione, rispetto a cui una particolarità l’abbiamo riscontrata nel fatto che molti cellulari “coperti”, cioè intestati a persone diverse da quelle che li utilizzavano con 10 o 12 schede differenti, facevano capo a soggetti dell’est europeo. Ora dobbiamo accertare se erano soggetti inconsapevolmente sfruttati o meno». L’Emilia Romagna invece è stata individuata come «meta notoriamente prescelta dai crotonesi»; a confermarlo sono stati gli stessi magistrati della Dda di Catanzaro, dove adesso si concentra una intensa attività investigativa su cui, però, gli investigatori hanno dichiarato il riserbo investigativo.
In Emilia infatti non ci sarebbero destinatari delle misure cautelari eseguite ieri, ma vi risiederebbero persone comunque indagate. La cosca sarebbe anche riuscita ad ottenere cospicui finanziamenti attraverso la legge 488.
Gli investigatori indagano in particolare, sulle attività imprenditoriali riconducibili alle cosche crotonesi, in particolare gli Arena.
Dunque sono ancora ricercate 4 persone che insieme ai 16 arrestati dovranno rispondere di associazione mafiosa, omicidio, tentato omicidio, porto abusivo di armi, estorsioni, riciclaggio, e trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante del metodo mafioso, ma riguardano anche altre 16 persone, indagate a piede libero per gli stessi reati.
Dall’inchiesta, inoltre, emerge come la compagine criminale facente capo agli Arena «possa contare su qualificati collegamenti con le maggiori cosche ioniche e tirreniche del reggino e del vibonese».
Il procuratore nazionale aggiunto antimafia, Emilio Ledonne, ha commentato il sequestro di beni per un valore di oltre trenta milioni di euro: «un risultato – ha detto Ledonne – che serve a reprimere direttamente quell’economia illegale che tanto danneggia gli imprenditori che vogliono svolgere il loro lavoro onestamente».
Ad Isola Capo Rizzuto sono stati sequestrati, in particolare, due alberghi ristoranti; tre imprese individuali; le quote societarie di alcune lavanderie industriali, un complesso immobiliare e 42 tra automobili, moto e mezzi industriali ed agricoli, oltre ad un centinaio tra polizze assicurative e conti correnti bancari in Calabria ed in Emilia, in particolare a Maranello e Sassuolo, in provincia di Modena.
Le indagini, dirette dalla Dda di Catanzaro, sono partite dall’omicidio del boss Carmine Arena, ucciso nell’ottobre del 2004 con un bazooka, la cui morte provocò la reazione immediata della cosca Arena. Poco meno di due mesi dopo infatti, l’11 dicembre, venne assassinato Pasquale Nicoscia, affiliato alla cosca rivale di quella degli Arena.

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