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di KATIA STANCATO
In Calabria si registrano quasi 40 mila imprese femminili attive, di cui 2.500 quale saldo positivo degli ultimi 5 anni. Nel solo 2008, sempre in Calabria, sono state 493 le cooperative al femminile costituite.
I dati di fonte Unioncamere aiutano a fornire un quadro chiaro della dimensione imprenditoriale femminile, senza dubbio uno dei fenomeni emancipativi più interessanti degli ultimi decenni.
Numeri che definiscono un potenziale, quello femminile, che da tempo, tutto sommato è in crescita, sia in termini di occupazione che di iniziative imprenditoriali. Innanzitutto senza le imprese rosa il saldo complessivo della crescita delle imprese dal giugno 2007 al giugno 2008sarebbe stato negativo. Le imprese femminili rappresentano il 24% di tutto il sistema impresa oltre 1 milione e 200mila aziende guidate da donne, che negliultimi cinque anni sono aumentate del 6%, cioè + 2.25% in più rispetto alla crescita totale delle imprese. Il sud è l’area a maggior diffusione delle imprese femminili e la sola Calabria ha contribuito con un + 6,64%. È interessante rilevare che le imprese femminili sono nel nostro Paese ancora un fenomeno giovane che ha avuto un incremento serio dopo gli anni ’80, pensate che prima del 40 erano 900 le imprese iscritte al Registro delle imprese, ma è nel decennio 1990/1999 che il fenomeno ha una vera è propria impennata – da qui probabilmente si può registrare anche l’impatto della 215/92 che, al di là dei limiti, è stato uno strumento che ha agito in modo esteso e il cui effetto è andato ben oltre l’incentivo economico. Ha alimentato la produzione di una cultura nuova: le donne hanno capito che potevano scegliere di fare impresa, avendone capacità, competenze, passione, creatività. Ma la vera novità degli ultimi 5 anni è che le imprese femminili si strutturano, compiono scelte organizzative più mature, scelgono le società di capitali per l’84% in più, anzichè le ditte individuali che nei 5 anni crescono solo dell’0.8%. Gli aumenti riguardano i consorzi tra imprese +40%, le donne cercano di superare il limite della micro azienda attraverso l’integrazione consortile, incremento del 15% per le altre forme giuridiche e del 13% le cooperative.
A preferire la formula cooperativa solo prevalentemente le imprenditrici del Sud. Sono dati che evidenziano ancora un ritardo dell’Italia e del Sud in particolare, sull’Europa, soprattutto se l’attenzione è focalizzata sul ruolo delle donne nel management aziendale, su 5 persone che siedono nella stanza dei bottoni delle imprese italiane 1 è donna; 1 su 7 le fa funzionare.
Sono dei dati che lasciano intravedere un positivo protagonismo delle donne del mezzogiorno nella promozione imprenditoriale che è necessario considerarli con fiducia anche perché ci consentono di fare almeno due riflessioni: la prima è che c’è uno stile differente che emerge e avanza ma che ancora non è un modello, dobbiamo sollecitare politiche e interventi che assecondino questo trend positivo. Programmare incentivi per una tipologia di impresa femminile – che non può più essere la ditta individuale – una tipologia che, invece rispecchia la tendenza all’aggregazione, alla condivisione, alla cooperazione del progetto imprenditoriale che, anche in Calabria le donne stanno riscoprendo quale strumento che sviluppa valore per il mercato, per la promozione sociale ed economica delle stesse imprenditrici, che le rende più competitive perché permette loro di introdurre maggiori meccanismi di flessibilità. Più flessibilità che non va intesa come sfruttamento, mala flessibilità dell’orario di lavoro è finalizzato a poter organizzare in modo autonomo il tempo e questo è fra gli aspetti più positivi del lavoro in cooperativa a fianco della qualità dei rapporti umani. La seconda riflessione è che alcuni nodi storici della condizione femminile possono sciogliersi solo se viene introdotto un nuovo modello di welfare. Occorre trovare nuovi strumenti e politiche per l’equità che possano mettere in equilibrio il sistema: infrastrutture dedicate al sostegno dell’occupazione femminile, maggiori opportunità di flessibilità nell’organizzazione del lavoro, rafforzamento degli strumenti per la conciliazione tra vita lavorativa e vita personale e familiare, più servizi di welfare per l’infanzia e per i non autosufficienti. In questa direzione è necessario riconoscere che anche nei territori calabresi già esistono buone prassi gestite prevalentemente dal privato sociale, dall’associazionismo ma soprattutto dalla cooperazione sociale, e che non solo garantiscono servizi sociali utili alle donne ma hanno una percentuale di inclusione lavorativa femminile di almeno 20 volte superiore a quello delle aziende ordinarie o delle Pubbliche amministrazioni. Non riconoscerlo significa non distinguerle, quindi, non valorizzarle e orientare la progettazione ripartendo da zero.
Ma le politiche per l’equità debbono, inoltre, favorire anche visioni e prassi più aperte alle donne. L’affermazione della donna nella vita lavorativa non dipende solo da fattori istituzionali e di welfare ma anche da visioni culturali meno androcentriche.
Nella direzione della promozione culturale vanno gli strumenti per la Certificazione di qualità delle politiche di genere o del famoso bollino rosa per le istituzioni e le aziende. Purtroppo traspare, la miopia politica di chi non coglie la portata di valore aggiunto che ne deriverebbe per l’intero sviluppo economico e sociale delle comunità, dal puntare sull’inclusione lavorativa delle donne e sulla valorizzazione del loro potenziale di saperi.
Manca la promozione ed il riconoscimento del “genio della donna” per usare la definizione che Giovanni Paolo II che assegna costantemente, alla capacità di relazionarsi della donna fuori e dentro la famiglia, come “educatrice alla pace”, “sul significativo ruolo che la donna svolge e ha svolto nella vita di tutti gli uomini”.
Presidente di Confcooperative Calabria

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