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7 minuti per la lettura

di ROCCO PEZZANO
«Hanno messo in conflitto la precarietà e la disoccupazione». Così dice un precario – l’anonimato lo difende dalle mille correnti del Palazzo – e la sua frase rispecchia quello che si pensa fra i 167 precari della Regione.
Ma il nodo che sta ingarbugliando il discorso ha un nome: portaborse.
DUE PROSPETTIVE
Da alcuni giorni due esponenti politici – Gianni Rosa del Pdl e Michele Napoli della Destra – lanciano accuse contro l’assunzione dei precari della Regione Basilicata. Assumerli – dicono in sintesi i due – significherebbe aiutare persone che non hanno superato un concorso, ma sono entrate con raccomandazioni o comunque di straforo, a scapito di tanti giovani lucani che invece non avranno
mai questa opportunità.
La questione può essere letta anche in una prospettiva diversa, praticamente la giunta regionale, dopo anni in cui non ha fatto nulla in merito, sta provando a dare delle norme per uscire fuori dal pantano delle long list, della chiamata diretta, dell’arbitrio.
A fare con rigore una selezione dei precari che rimarranno a lavorare. E a dare un minimo di stabilità a chi si trova da tempo a gestire interi uffici regionali senza avere né contributi né altre tutele tipiche del lavoro dipendente.
I PUNTI FERMI
E’ una vicenda che, per complessità, va analizzata nel dettaglio. Ma si possono subito anticipare alcuni punti fermi: 1) c’è un disegno di legge con cui la Regione vuole riservare una parte dei posti di futuri concorsi ai precari; 2) si tratta di futuri contratti a tempo determinato, è bene sottolinearlo: non posti a vita,ma a tempo; 3) si conosce la percentuale dei posti che verranno riservati (il 70 per cento) ma non il numero: non lo sa nessuno.
Già questo – e per sincerarsene basta leggere il testo del disegno di legge, protocollato come pratica 1500/L del 26 febbraio 2009 al consiglio regionale – ridimensiona la vicenda: non si tratta di persone che otterranno ipso facto una scrivania vita natural durante, non si parla da nessuna parte di «trecento posti » così come da comunicati stampa.
Rimane in piedi la questione del canale privilegiato attraverso cui i precari sarebbero entrati nell’orbita della Regione.
LE CINQUE PORTE
Le porte di accesso alla categoria “precari” sono sostanzialmente cinque: la prima è quella dei co.co.co (contratti di collaborazione coordinata e continuativa). Questa porta si apre su tre cancelli: il primo è la chiamata diretta (da parte di uffici e non di politici), il secondo è quello delle long list, il terzo quello dell’esame di titoli più colloquio. Le long list, in parole povere, sono elenchi di persone che fanno richiesta di entrarvi (inviando curriculum, attestati e tutto ciò che può accertare la loro preparazione) e da cui l’ente pesca. La seconda porta è quella del tirocinio nel progetto Sfera. Il nome sta per “Stage formativo europeo nelle regioni e nelle amministrazioni dell’Obiettivo 1”. Si tratta della creazione di una short list (lista corta) di laureati disponibili, giovani che si propongono per tirocini nelle pubbliche amministrazioni che si occupano di gestire progetti cofinanziati.
La condicio sine qua non è quella di aver preso 105/110 all’università. «E poi c’è la discrezionalità più barbara», ammette un precario, che però lavora alla Regione dopo una selezione di tutt’altro tipo.
Terza porta, gli assunti con contratti a tempo determinato. Entrano con regolare concorso. Ne sono rimasti pochi. Pare – ma le notizie sono contraddittorie – che nel tempo una quindicina di questi sia stata stabilizzata. La quarta porta è quella riservata a consulenti ed esperti. Qui si trovano abissi fra i consulenti con contratti d’oro e altri che invece si accontentano degli spiccioli. Infine, gli interinali: diversi fra quelli che sono entrati tramite le agenzie di
fornitura di lavoro temporaneo oggi si trovano ad essere co.co.co. Non ce ne sono molti. La questione in piedi da alcuni giorni riguarda solo il primo gruppo, quello dei co.co.co.
Un magma di persone che nasconde le singole storie: ci sono quelli che hanno un “protettore” – come a volte ammettono con franchezza – che ha sponsorizzato il loro avvicinamento alla Regione; ci sono anche però molte persone che sono entrate e hanno ottenuto la conferma del proprio contratto solo grazie alla propria professionalità.
LA PRESA DI COSCIENZA
Oltre un anno fa, da questo mare di giovani e meno giovani, emersero alcuni che cercarono di dare vita a un coordinamento. Come a dire: basta venire considerati solo anonimi cervelli al servizio dell’ente, vogliamo un riconoscimento ufficiale e avviarci a una stabilizzazione. Riunioni all’inizio quasi carbonare – pur se svolte all’interno dell’amministrazione – e poi via via più ufficiali.
I problemi sul tappeto erano tanti. Innanzitutto: chi considerare precario e chi no. E poi: quanti sono i precari; se stabilire o meno criteri di differenziazione in base alla diversa natura contrattuale; cosa chiedere alla Regione; che rapporti avere con il sindacato.
Quest’ultima questione in particolare generò momenti di tensione tra chi si fidava delle sigle sindacali e chi temeva di esserne strumentalizzato. Il problema si risolse con la selezione naturale: a seguire i precari rimase in maniera costante la Cisl attraverso l’Alai, sigla che si occupa proprio di “lavoratori atipici”. Degli altri sindacati, all’inizio andarono alle riunioni esponenti anche importanti, ma poi l’appoggio si è caratterizzato per discontinuità o addirittura per assenza. Nel frattempo, anche il coordinamento è scomparso: si è dissolto dopo aver affrontato le difficoltà di organizzarsi, di mettere insieme tante teste, di cercare soluzioni comuni e non individuali. La sede della Regione Basilicata in via Verrastro a Potenza di alla voce “protettore”).
Una cinquantina, in maniera informale, porta ancora avanti la vertenza.
LA LEGGE
Si giunge al 7 novembre del 2008. Dietro la pressione costante del sindacato e a quella molto meno costante dell’opinione pubblica, la giunta regionale approva un disegno di legge denominato “Misure volte a favorire qualità ed efficienza dei sistemi professionali nella Regione Basilicata”. Come sempre, dietro al fumo del linguaggio burocratico c’è la sostanza: le norme «introducono – è scritto nell’articolo 1 – misure volte alla valorizzazione e consolidamento di precedenti esperienze lavorative maturate nella Regione Basilicata». Traduzione: questa legge vuole dare un contratto più stabile a chi da anni lavora nell’ente quasi senza copertura.
E’ scritto più avanti che «il consiglio e la giunta regionale, qualora decidano di bandire negli anni 2008 e 2009 procedure per la formazione di graduatorie per assunzione di personale non dirigenziale a tempo determinato riservano una quota,
non inferiore al 70 per cento dei posti previsti, ai soggetti che hanno svolto presso la Regione Basilicata uno o più contratti co.co.co. (…) La durata complessiva di tali contratti deve essere di almeno un anno, maturata nell’ultimo triennio precedente alla data del 29 settembre 2008 o che maturino tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla predetta data ed in corso alla data di approvazione della presente legge». Al di là dell’odore di polvere di alcune espressioni, la norma è chiara.
E stabilisce anche un particolare: la data di approvazione della legge (che, proposta dalla giunta, dovrà essere votata dal consiglio) diventa fondamentale per stabilire chi ha diritto a cosa.
La giunta, dunque, il 7 novembre 2008 approva il disegno di legge. Pochi giorni dopo, il 21, ne modifica anche una frase, in modo da non escludere alcuni co.co.co che hanno lavorato alla Regione ma, formalmente, sono contrattualizzati da società esterne. Il ddl comincia il canonico giro delle commissioni consiliari: organismi formati da pochi consiglieri, ognuno competente per determinate materie, che devono dare il proprio parere sul provvedimento –
eventualmente emendandolo – prima che arrivi in assemblea.
OSTACOLI
Un giorno l’atto si ferma in prima commissione. Competente sugli affari istituzionali. Teoricamente, l’ultima tappa. Ed è da lì che ancora non riesce a muoversi. Tutti – i precari, i sindacalisti e gli stessi verbali delle sedute – indicano l’ostacolo nella richiesta di alcuni politici dei due schieramenti: far sì che il provvedimento non interessi solo i co.co.co ma anche i portaborse. Ossia le persone entrate nei gruppi consiliari dei diversi partiti perché chiamate dai consiglieri. L’unico criterio in questo caso è il rapporto personale con il politico di turno. I sindacati si sono opposti e per ora nel testo non è stato inserito nulla.
IL NUMERO
Si sa che il ddl riguarda 167 co.co.co. Conoscere il numero è già qualcosa: permesi, i precari e i sindacalisti cercarono di conoscere un brandello di cifra, uno scampolo di dato certo. Ma sembrava che tutti in Regione brancolassero nelle tenebre dell’incertezza. Nei prossimi giorni appuntamenti importanti – incontri con i sindacati, seduta della prima commissione – interesseranno la sorte dei 167 co.co.co della Regione.
La domanda è: andrà in porto il disegno della giunta e del sindacato di fermare nuovi ingressi precari e fare concorsi al posto delle long list? Anche la disposta è precaria.

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