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Dopo l’omicidio di Maria Strangio, avvenuto il 25 dicembre del 2006 a San Luca, il suocero della vittima e presunto capo della cosca, Giuseppe Nirta, controllava periodicamente la sua abitazione perchè temeva che ci fossero microspie e telecamere.
È quanto è emerso dalla deposizione di un carabiniere del Gruppo di Locri che partecipò alle indagini sulla faida di San Luca che vedeva contrapporsi le famiglie dei Nirta-Strangio con quella dei Pelle Vottari.
Il carabiniere è stato sentito durante il processo in corso dinanzi alla Corte d’assise di Locri contro 14 persone accusate di far parte delle cosche di San Luca.
Nel corso della deposizione il militare dell’Arma ha aggiunto che dopo l’omicidio di Maria Strangio, gli uomini della famiglia Nirta erano particolarmente preoccupati e si allontanavano dalle loro abitazioni nascondendosi nei bagagliai delle loro automobili che erano guidate dalle mogli.
Agli imputati del processo Fehida è contestato il reato di associazione mafiosa e per alcuni di loro anche gli omicidi di Maria Strangio, moglie di Giovanni Luca Nirta, uno dei presunti capi della cosca, e di Bruno Pizzata, avvenuto il 4 gennaio del 2007. Il processo riprenderà il 3 settembre prossimo.

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