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MELFI – Da lunedì si riparte alla Fiat di Melfi, ma il vero problema è: con quale stato d’animo? Non solo perché fuori dai cancelli rimarranno i 174 lavoratori della Lasme, licenziati dall’azienda dell’indotto nell’ultimo giorno di lavoro, prima delle ferie.
C’è un altro punto di criticità che attende sindacati e tute blu di San Nicola al rientro dalle vacanze: si erano lasciati, lo scorso 8 agosto, promettendo battaglia alla ripresa, contro la decisione dell’azienda di ridurre la pausa estiva da tre a due settimane. L’obiettivo doveva essere recuperare i giorni di lavoro persi, a causa del “senza lavoro” dovuto allo sciopero dell’indotto nei mesi passati. I sindacati non si erano mostrati compatti nella scelta della strategia da opporre alla decisione aziendale. Fim e Fiom si sono dette pronte alla protesta: i metalmeccanici della Cgil hanno già dichiarato lo sciopero mentre la Cisl ha proclamato lo stato di agitazione. Più cauta la Uil che, invece, ha invitato a non cercare lo scontro anche su questo versante, alla chiusura di una stagione che ha minato a fondo i rapporti tra Torino e Melfi. Stati d’animo contrastanti, esaltati ancor di più dagli ultimi accadimenti della zona industriale di San Nicola. Il vero interrogativo in sintesi è questo: ha ancora senso scioperare oggi per il taglio alle ferie mentre i colleghi dell’azienda a fianco hanno perso il lavoro? Quale sentimento potrà accomunare davanti ai cancelli chi non entra in fabbrica per protestare e chi, invece, nello stabilimento in cui ha lavorato per anni non ci può più mettere piede? Dall’altro lato ci sono le altrettanto legittime ragioni di chi crede che rinunciare alla lotta equivalga ad “abbassare la testa”, in un momento troppo delicato. Il taglio alle ferie estive, d’altronde, è suonato come l’ennesima provocazione da parte del management torinese, che negli ultimi mesi sembra aver cercato lo scontro più che il dialogo.
Ma se è vero che Fiat in qualche momento sembra voler giocre a istigare è più opportuno reagire o non prestare il fianco e tentare la via di un confronto più sereno. E’ l’interrogativo che da mesi accompagna la vertenza Sata e indotto e che divide i sindacati, a iniziare dallo sciopero per il premio di produzione, inizialmente portato avanti solo dalla Fiom. Questione che mette in disaccordo e soprattutto consuma: un sindacato spaccato rischia di indebolire una controparte, che, evidentemente, al Lingotto deve già sembrare meno forte che in passato. All’orizzonte si annidano le paure di nuovi ripercussioni della crisi del settore auto sull’indotto lucano. Ormai da mesi alcune aziende lamentano stati di sofferenza. E se chiudere uno stabilimento può avere tempi così crudeli come quelli che hanno cadenzato la vertenza Lasme, le preoccupazioni aumentano. Si tratta del campanello di allarme che i sindacati stanno cercando di far suonare da tempo, non per creare inutili allarmismi, ma per cercare di restare con gli occhi aperti, e di intervenire prima di danni irreversibili. E’ intorno a Fiat che girano i satelliti dell’indotto, e ad essa spetta assumere impegni per il futuro di Melfi. L’annuncio dello scorso giugno a Roma della produzione in Basilicata della Evo, restyling della Grande Punto, ora ha bisogno di un supporto in più. Come un anno fa, quando tutta la regione aspettava rassicurazioni da Marchionne sul futuro della Sata, si attende che la visita del top manager, atteso a Melfi per il 12 settembre, in occasione della cerimonia di posa della prima pietra del campus di ricerca e innovazione, possa portale nuova linfa vitale nel rapporto consumato da mesi di attrito con il Lingotto.
Ma prima di tutto c’è il dramma degli operai della Lasme. Lunedì sarà una giornata importante anche per loro. Nel pomeriggio, infatti, è previsto l’incontro tra azienda e sindacati, nella sede potentina della Confindustria di Basilicata, a partire dalle 16. Servirà perlomeno a fare chiarezza sugli aspetti della vertenza che è il punto più alto del dramma occupazione in Basilicata.
Mariateresa Labanca
m.labanca@luedi.it

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