X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

di MATTEO COSENZA
Un altro giornalista minacciato. Hanno preso di mira un nostro collega colpevole esclusivamente di fare il proprio lavoro. Chi comanda davvero in Calabria decide chi, dove, come e quando può fare il proprio dovere, e purtroppo ci riesce spesso. Ma sbaglia quando pensa che lo stesso criterio possa valere per i professionisti di un giornale libero come il Quotidiano della Calabria. Cercano di intimidire Giuseppe Baldessarro come hanno tentato di fare con Michele Albanese nella Piana di Gioia Tauro, qualche giorno fa con Michele Inserra a San Luca, due mesi fa con Francesco Mobilio a Vibo e tempo fa con Antonio Anastasi a Crotone. Hanno pensato di intimidire anche un giornalista free lance come Antonio Monteleone (che sarei onorato di avere come nostro collaboratore) sempre a Reggio. Questi nostri colleghi non sono eroi, certamente non hanno scelto questo mestiere, nobile per chi lo nobilita e sporco per chi lo infetta senza pudore, per mettere a repentaglio la propria vita e creare paura e terrore tra i loro familiari: fanno semplicemente i giornalisti, si informano, approfondiscono, verificano e poi raccontano il risultato del loro lavoro ai lettori servendoli con un prodotto al tempo stesso rispettoso della dignità delle persone e della verità. Quelle che li hanno colpiti, compresa quella di ieri a Baldessarro, sono intimidazioni serie come gli stessi inquirenti hanno riconosciuto. D’altro canto, basta andare a leggere quello che è stato pubblicato nei giorni scorsi nelle nostre pagine a Reggio e fuori per capire che sono stati toccati interessi rilevanti. In altri casi il pericolo, sempre insidioso, lo è ancor di più perché il giornalista potrebbe aver toccato inconsapevolmente nervi scoperti provocando la prima reazione dell’avvertimento e dell’intimidazione. Questa è la Calabria, cari calabresi. Una peste corrode questa terra e avvilisce la sua gente perbene, semina paura e incute terrore, fa passare il messaggio che un altro modo di vivere non è possibile anche perché lo Stato, ammesso che ce la metta sempre tutta, risulta lontano e impotente. In questi giorni abbiamo letto l’ultimo libro di Nicola Gratteri scritto insieme ad Antonio Nicaso. Abbiamo provato ammirazione per il suo coraggio e la sua cultura, un calabrese fiero di esserlo e che ha dedicato la sua vita, fatta di privazioni prolungate e a ben guardare intollerabili, alla lotta alla ‘ndrangheta e al trionfo della legalità. Di quanti Gratteri c’è bisogno per debellare il cancro o, come dice lui, la malapianta? Ma anche se fossero tanti non vincerebbero mai se rimanessero soli e se la gente non fosse tangibilmente accanto a loro ed educasse i propri figli alla legalità. Lo Stato deve fare la sua parte, ma i calabresi non possono cavarsela sempre con l’alibi che lo Stato è assente o è debole. Ognuno cominci da sé a esercitare e pretendere la legalità, che è rispetto delle regole e delle persone. Questo, se permettete, insegna l’esperienza del nostro lavoro e dei colleghi che rischiano per la loro libertà ma anche per la vostra. I nostri nemici – la ‘ndrangheta, la massoneria, il malaffare – combattono la loro battaglia con le armi potenti dell’intimidazione, dei veleni, della prepotenza, dell’intrigo. Ma noi siamo qui e continuiamo il nostro lavoro insieme ai colleghi più esposti, siamo tutti in campo, perché loro devono sapere che Baldessarro, Albanese, Inserra, Anastasi, Mobilio, Monteleone e tutti gli altri colleghi del nostro e di altri giornali non sono soli. E non lo sono nonostante le disattenzioni talvolta di chi dovrebbe proteggere la libertà di lavoro di ognuno anche quando gli episodi di violenza e sopraffazione diventano ordinari tanto sono diffusi. Un esempio che vogliamo segnalare al procuratore capo di Vibo, Mario Spagnuolo, magistrato attivissimo e scrupoloso: mai nessun uomo delle forze dell’ordine ha interrogato Francesco Mobilio e la sua compagna dopo l’esplosione della loro auto in una strada del centro di Vibo che avrebbe potuto provocare una strage, per sapere se avessero qualche sospetto, se ci fosse stato qualche segnale premonitore, se qualche articolo potesse aver scatenato l’attentato. Nulla. Come succede almeno un paio di volte al giorno in quel di Reggio dove le auto bruciate contano per la statistica e le assicurazioni. Occorre una svolta, un sussulto delle coscienze, la ribellione civile dei calabresi onesti per isolare la malapianta e impedire che sia così forte e ramificata nelle radici e nelle chiome. In ogni settore ci sono calabresi che ogni giorno onorano questa terra facendo il loro dovere nella legalità e nel rispetto delle persone, lasciarli soli sarebbe la colpa più grande di una comunità che ad onta di tutto ha diritto ad un futuro diverso da questo orribile presente.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE