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di ROCCO PEZZANO
LE PREVISIONI del petrolio sono andate in onda il 5 febbraio scorso nella sala conferenze dell’Eni a San Donato Milanese.
Riunito il gotha del settore, la parte del colonnello Bernacca è toccata al settore Idrocarburi e geotermia dell’Assomineraria.
Le tabelle sono state proiettate mentre i presenti assentivano gravemente alle parole degli esperti. Alla fine è stato chiaro il quadro d’insieme: in Italia – ovviamente, leggi soprattutto “Basilicata” – c’è petrolio per meno di un quarto di secolo. La burocrazia non dà tregua e blocca una serie di operazioni miliardarie. Il fisco inventa nuove tasse, le royalty lievitano. Gli investimenti di conseguenza languono. Il mercato preme. O si trova una soluzione, e lo Stato smette di tartassarci, o leviamo le tende e ce ne andiamo all’estero.
E’ la sintesi del rapporto contenuto nel “2010 Gulf Publishing Company’s Oil & Gas industry Forecast”. Quel giorno si è parlato di petrolio nel mondo, in Europa e in Italia. Come è oramai pacifico, parlare di idrocarburi sul territorio nazionale vuol dire automaticamente interessarsi per buona parte – dal punto di vista quantitativo – della Basilicata.
Basti pensare che, nel 2009, su 4.024.912 tonnellate di greggio estratte su terraferma in Italia, 3.155.531 provenivano dalla Basilicata. La seconda regione in classifica, la Sicilia, era a quota 556.084 tonnellate. Poi, frattaglie varie. Anche per il gas la Basilicata ruggisce da leone: 63.848.650 metri cubi estratti sul totale in terraferma (il mare della Sicilia è più generoso) di 155.447.512 metri cubi.

Lo studio
Il rapporto di Assomineraria comincia con uno sguardo alla produzione nazionale di idrocarburi. Il grafico mostra un andamento in costante discesa per il gas, dai fasti del 1995 all’anno nero del 2009. Anche il petrolio è in flessione, e peggio del 2009 è stata solo l’annata 2001.
Un argomento di solito utilizzato dai petrolieri per rivendicare un ruolo di primo piano – il contributo alla bilancia dei pagamenti – non è valido come un tempo. Se nel 1995 il contributo al dare/avere con l’estero era del 22,7 per cento, l’anno scorso era dell’11,2 per cento, meno della metà. Il risparmio sulla fattura energetica dato dalle estrazioni petrolifere nazionali è stato di 3 miliardi e 300 milioni di euro, più dei 2 miliardi e 85 milioni del 1995 (sui quali bisogna considerare però l’inflazione) ma molto meno del cinque miliardi del 2008.

Goodbye, Oil
Una delle tabelle più interessanti si intitola “riserve di idrocarburi al 31 dicembre 2009” e ipotizza anche un indice di vita per petrolio e gas. Fra riserve certe, probabili e possibili, Assomineraria ritiene che entro 24 anni i giacimenti italiani di greggio non saranno più produttivi, mentre per il gas bastano altri 11 anni.
Nemmeno cinque lustri e le royalty per la Basilicata potrebbero esaurirsi (ma si assottiglierebbero comunque molto prima).
Nessun petroliere italiano ha più festeggiato la scoperta di una nuova riserva di petrolio dal 2004. Per il gas naturale, da tempo si conosce l’ubicazione di un giacimento monstre nel mare Adriatico, al largo di Venezia. L’opposizione di ambientalisti e dello stesso presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan, ha fino ad ora bloccato i lavori.
Per quanto riguarda gli investimenti in esplorazione e produzione (E&P), i 544 milioni di euro di stima da stanziare nel 2010 sono la somma più bassa da quindici anni a questa parte.

Balzelli
Dicono i consulenti di Assomineraria nel rapporto: «Le fonti primarie “idrocarburi” saranno decisive ancora per alcuni decenni, secondo la previsione del Libro Verde Ue del marzo 2006, riconfermata da dati 2009. Gli ultimi interventi normativi o proposte in materia fiscale non sono assolutamente in linea con tale scenario e gravemente penalizzanti per l’attività E&P in Italia, a differenza di tutti gli altri Paesi europei: imposta sul reddito delle società – per ricavi superiori ai 25 milioni di euro – aumentata del 5,5 % (il riferimento è alla cosiddetta Robin Tax decisa dalla legge 133 del 2008, ndr), abrogazione delle incentivazioni per i giacimenti marginali, aumento delle royalties dal 7 al 10 %, proposte “persecutorie” di incremento di ulteriori aumenti delle royalty e/o dei canoni, che porterebbero alla chiusura in Italia di alcune piccole-medie società e a un dirottamento in altri Paesi degli investimenti delle major».
L’aumento delle royalty, la percentuale di guadagni da girare allo Stato e ai territori interessati alle attività, è stato voluto dal Pdl, su proposta degli esponenti lucani, per arrivare a uno sconto sulla benzina per i lucani. Lo sconto ancora non c’è stato.

Paragoni
Un capitolo a parte per le royalty. In una tabella vengono messi a paragone alcuni Paesi europei. In Danimarca, Norvegia e Inghilterra le royalty non esistono. In Francia solo su terraferma (da zero a 12 % per il greggio e fino al 5 % per il gas, dipende dalla produzione); in Germania sono del 10 %; in Olanda solo su terraferma, da zero a 7 %.
L’Italia è passata dal 7 al 10 %, mentre sul mare si dà il 4 % sul petrolio e il 7% sul gas, con una franchigia annuale. La precisione nel sintetizzare la quota di royalty non viene rispecchiata sul versante fiscale. La tabella indica genericamente “tax” ma non riporta l’ammontare. E’ da dire però che, ad esempio in Norvegia, ci sono Paesi in cui le compagnie non devono versare royalty ma le tasse sono una mannaia molto più pesante e tagliente che in Italia.

Le condizioni per trattare
Le conclusioni con le richieste di Assomineraria: «Alcune variazioni di legge (…); revisione dell’Accordo Mse/Regioni del 24 aprile 2001 onde fluidificare i procedimenti di conferimento titoli minerari e le autorizzazioni delle attività previste dal “Programma lavori”; nuovo disciplinare tipo per l’E&P. Nuovo disciplinare tipo per lo stoccaggio del gas. Sono necessari chiari indirizzi di strategia energetica con scenari definiti e conseguenti procedimenti autorizzativi di massima fluidità e in tempi certi: ruolo della ricerca e produzione di idrocarburi in Italia; ulteriore sviluppo del relativo know-how da parte di oil companies e società di servizio; in alternativa “migrazione” di investimenti, società, cervelli eccetera eccetera».
E in quell’eccetera eccetera, il classico aut aut industriale italiano: o lo Stato ci ascolta o ce ne andiamo altrove. Ma altrove il petrolio italiano – e lucano – non c’è.
r.pezzano@luedi.it

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