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di Andrea Di Consoli

Senatore Filippo Bubbico, inizierei dal dato della Calabria. Il centrosinistra si è fermato al 32% dei consensi. Il Pd è al 15%. Una sconfitta che pesa non poco nella geografia politica meridionale del centrosinistra.
Devo dire che il risultato della Calabria mette in evidenza un dato di sfiducia rispetto a un’esperienza di governo, che, devo aggiungere, nelle singole parti, su talune materie, non è sempre stato caratterizzato da scarsa incisività. Il problema della Calabria è che è mancata una visione d’insieme, un progetto nel quale riconoscersi e per il quale mobilitarsi. Il dato evidenzia in maniera netta la crisi del Pd calabrese, la crisi della capacità di fare colazione, che poi è la conseguenza dell’assenza di un progetto unitario, di un comune destino politico, l’incapacità di trasferire sul piano politico un impegno per superare le marginalità e il sottosviluppo. Noi ci troviamo di fronte a una crisi del Pd calabrese che è, insieme, una crisi politica, una crisi culturale e una crisi di governo. Si è manifestata una incapacità coalizionale che ha portato a questa grave disarticolazione del fronte progressista.
Si dice che la ‘ndrangheta sia determinante per chi voglia vincere le elezioni in Calabria. Il centrosinistra ha perso per eccessiva distanza o per eccessiva vicinanza rispetto a certi interessi “torbidi” o contigui alla criminalità?
L’idea che io mi vado facendo è che i poteri criminali sono in grado di insidiare la politica debole e non la politica forte. La debolezza del Pd non ha nulla a che fare con la forza intimidatoria della criminalità, che certamente è un problema gigantesco, ma che sta più nelle dinamiche sociali che non in quelle politiche. E’ poi ovvio che anche le dinamiche elettorali risentano in qualche misura delle dinamiche sociali.
Evitiamo però di dire sciocchezze come quella che se in Calabria vince la destra è perché ha avuto l’appoggio della ‘ndrangheta.
Passiamo alla Campania. Anche qui il centrosinistra perde nettamente. La colazione capeggiata da Vincenzo De Luca si è fermata al 43% dei voti. Il Pd è fermo al 21%. Non si è troppo esagerato nell’aver dipinto Antonio Bassolino, il governatore uscente, come un vicerè “laurino” dai metodi dittatoriali? Perché il centrosinistra ha perso in Campania?
Secondo me quella campana è una sconfitta del Pd, ed è anche una sconfitta personale di Bassolino, perché non premia mai il processo di identificazione con una singola personalità. La politica, quando sa essere plurale, sa poi anche gestire meglio le sconfitte. Non bisogna mai costruire percorsi personalistici quando non si è convinti di un modello politico. Funziona Berlusconi, ma quando un partito pretende di mettere in campo visioni condivise, suscitare passioni sulla base di una mobilitazione che nasce della condivisione, non si può alludere a forme politiche di natura leaderistica. Quindi diciamo che ormai la situazione campana era ampiamente compromessa, e perciò diventava complicatissimo rimetterla in piedi.
E infatti ha vinto un candidato, Stefano Caldoro, poco leader e molto “collegiale”. De Luca, invece, è apparso come un surrogato di Bassolino. Leader forte e finanche contrapposto alla tradizione bassoliniana. Due facce della stessa medaglia.
De Luca ha utilizzato gli strumenti che lo hanno messo in evidenza come sindaco di Salerno e, per fronteggiare una crisi di natura strutturale, è ricorso agli strumenti del leader che incarna una capacità di riscatto. È però mancato un progetto comune che appartenesse al popolo.
Tutti stando plaudendo alla vittoria di Nichi Vendola in Puglia, ma nessuno sottolinea che il suo leaderismo personalistico difficilmente potrà diventare “laboratorio” per forze politiche collegiali e plurali. Non dimentichiamo che D’Alema voleva fortemente Boccia come candidato del centrosinistra, e che Frisullo, vice di Vendola, è attualmente in carcere.
Però attenzione: Vendola cambia giunta non appena emergono problemi di non corretta amministrazione e di reati di natura penale. E quindi mette in campo una volontà politica che è l’unica in grado di preservare il rispetto delle regole e il buon governo, perché non ci si può affidare all’onestà dei singoli, invece è importante che quando fenomeni corruttivi si presentano si agisca con forza. Io voglio augurami che il Pd sostenga Vendola e la sua giunta con lealtà, e voglio anche augurarmi che Vendola, com’è nel suo stile, voglia occuparsi del governo della regione Puglia tanto da farne il vero laboratorio di qualità dei governi del Sud, dimostrando che nel Mezzogiorno è davvero possibile cambiare. E Vendola ha la possibilità di farlo.
Sì, ma Vendola non è del Pd. I problemi saranno della colazione, mentre i meriti saranno sempre di Vendola. I nervi salteranno facilmente.
Non c’è dubbio che è tutto molto difficile. Ma con Vendola bisogna essere molto rigorosi e sostenerlo con grande lealtà, ma non bisogna affidargli le funzioni che spettano al Pd, a cui il partito non deve rinunciare. Se il Pd saprà in Puglia prendere in mano il proprio destino, verranno fuori soluzioni interessanti e positive.
Senatore Bubbico, ci dica la verità: come si trova in questo Pd? In che modo sta dentro a questo nuovo partito riformista e post-ideologico?
Io ci sto come si sta lealmente in un partito nel quale ci si ritrova non per necessità ma per scelta. Le condizioni di un partito non sono dati una volta per sempre, ma vanno continuamente costruiti. Il Pd ha messo in evidenza grandi limiti, grandi criticità, grandi difetti nel corso di questi ultimi mesi. E ora deve affrontare prove non trascurabili. Gli esiti della vicenda nazionale dipendono anche dalla capacità del Pd di costruire un partito fortemente radicato in grado di promuovere una buona politica, il rinnovamento delle classi dirigenti e di guardare all’Italia avendo un progetto comprensibile per i cittadini. Da questo punto di vista noi abbiamo molto da imparare dalla Lega Nord.
Dalla Lega populista e razzista, dalla Lega della doppia morale, “di governo” a Roma e “di piazza” nelle lande padane?
Io trovo che sia sbagliato guardare alla Lega con la sufficienza dei nobili decadenti. Io non guardo alla Lega nella sua dimensione di movimento populista; guardo invece alla Lega in termini di partito strutturato e radicato sul territorio, connesso con i problemi dei ceti sociali produttivi e popolari. La Lega ci sta dicendo che c’è una domanda di partito, e il Pd dovrebbe riconfigurarsi non per replicare le antiche gerarchie, ma per mantenere vivo un luogo dove si formano, attraverso le discussioni aperte, le nuove classi dirigenti.
Sì, però la Lega è un movimento fortemente leaderistico. Credo che il culto della personalità di Umberto Bossi sia forte quanto quello di Berlusconi.
Le faccio un esempio, e torno alla situazione calabrese. Un uomo politico come Loiero paga l’errore di considerarsi leader in grado di prescindere da un collettivo, da una squadra, da un partito. E’ l’errore di chi pensa di poter fare a meno degli altri. E quando accade che una realtà come quella calabrese non esprime partiti, non esprime radicamento, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. La personalizzazione di Vendola, invece, non ha la dimensione dell’antipartito, dell’uomo solo al comando, ma si propone nella dimensione di punta di diamante di un collettivo, di un popolo che vuole riscattarsi, che si pone, cioè, nella dimensione dell’avanguardia progressista. Il rischio della deriva leaderistica si evita, ma ancora una volta dipende da tutti noi, solo costruendo luoghi nei quali la discussione diventa seria, di merito e concludente.
Belle parole, senatore Bubbico. Poi però i signori dei voti condizionano pesantemente l’attività dei partiti e dei governi. Fare politica, oggi, significa tout-court avere voti, spesso macchiati di favoritismi e di promesse. Chi non sa trovare i voti non sa fare politica. Non è il massimo della democrazia, secondo me. Come si scardina questo meccanismo?
E non potrà mai essere scardinato fino a quando non modifichiamo i criteri selettivi della classe dirigente. E fino a quando non si modificheranno le regole del gioco. Io penso che il sistema della preferenza unica sia devastante. Il modello al quale più facilmente mi orienterei è quello dei collegi uninominali, con meccanismi di selezione e quindi valorizzando le primarie.
Passiamo all’analisi del voto in Basilicata. Il centrosinistra vince con il 62% dei consensi. Il Pd arriva al 30%. Insomma, la Basilicata si riconferma saldamente di centrosinistra. Non mi faccia un’analisi edulcorata, se è possibile.
Intanto partiamo da un dato. In Basilicata esiste un Pd che ha vissuto una fase congressuale intensa, autentica, vera, nella quale erano in campo diverse idee della politica, e si è affermata un’idea della politica che punta a garantire processi di innovazione, di cambiamento e di formazione delle classi dirigenti, alimentando il circuito virtuoso della discussione. La diversità del Pd c’è, e consiste nel fatto che il Pd esiste, discute, vive momenti di tensione, ne abbiamo conosciuti tanti, ma è vivo. E, soprattutto, costruisce un meccanismo di decisioni che mirano all’interesse generale, alla capacità di far prelevare una visione di medio-lungo periodo rispetto agli interessi di piccolo cabotaggio che riguardano le collocazioni personali. Tutto questo riesce a contrastare quella deriva leaderistica, o dei capibastone, che determinano la distruzione di un patrimonio fatto di tanti impegni e di tante lotte per promuovere il cambiamento e il buon governo. E quindi la Basilicata potrà vivere una stagione virtuosa valorizzando le esperienze fatte sin qui, e ovviamente correggendo gli errori, perché il dibattuto congressuale ha messo in evidenza anche una serie di posizioni diverse, ma al tempo stesso la capacità di approdare a esiti unitari con l’elezione alla segreteria di Roberto Speranza. Quindi ci sono tutte le condizioni per promuovere una buona politica e un buon governo, e mi pare che le prime dichiarazioni di De Filippo vadano in questa direzione. Sono molto fiducioso.
Senatore, ma se il Pdl è così debole, chi farà davvero l’opposizione al nuovo governo regionale?
Io dico che bisogna farsi carico delle debolezze dell’opposizione. Cioè è giunto il momento che i democratici di Basilicata sappiano che un’opposizione debole non serve a nessuno. E dobbiamo impedire che quelli del Pdl trovino gli equilibri più comodi in percorsi consociativi. Io non dico che devono essere osteggiati o esclusi. Dico che il rigore che pretendiamo da noi stessi lo dobbiamo iniziare a pretendere anche da loro. Noi dobbiamo ostacolare i percorsi di natura consociativa, che a noi potrebbero risultare comodi nell’immediato, ma che sarebbero devastanti per il futuro.
Altro problema potrebbe essere la grande varietà della maggioranza di governo. Oltre al Pd, a governare la regione saranno Udc, Idv, Sel, Api, Popolari Uniti, ecc. Come la vede?
Una colazione vasta produce problemi ma anche opportunità, e noi dobbiamo ancora una volta rimarcare il tema del partito e la solidità dei gruppi dirigenti, sui quali ricade la responsabilità della coesione. A tutti i dirigenti dico di mantenere alto il livello del confronto e di trasformare la frammentazione in una risorsa pluralista. Noi dobbiamo raccogliere le forze per risolvere i problemi che abbiamo di fronte. Per dare una prospettiva a un’intera generazione. Dobbiamo sconfiggere quell’ottica per cui si può fare tutto purché lo si voglia. Dobbiamo tutti addestrarci a conseguire risultati importanti mettendo in campo il massimo delle competenze. Ovviamente mobilitando le migliori energie della Basilicata.
Il centrosinistra lucano è come la Dc della prima Repubblica. Tutti lo criticano e mugugnano, poi però tutti lo votano, magari turandosi il naso. Non c’è il rischio di un voto che scaturisce dalla pratica delle relazioni corte, dall’abitudine al “meno peggio”?
In questa lettura c’è qualcosa di vero, ma io aggiungo che la relazione corta non è sufficiente per vincere, perché le stesse accuse sono state mosse nei confronti del governo calabrese, eppure i risultati sono stati di tutt’altra natura. Non sempre la relazione corta porta consenso. Il punto è fare in modo che dalla relazione corta si passi al consenso vero e proprio. Se noi indugiamo nell’alimentare il consenso spicciolo e immediato non abbiamo futuro. Facciamo invece in modo di trasformare il consenso in un impegno per promuovere il cambiamento in modo consapevole.
Già però sono alle porte di Potenza le armate dei signori dei voti. I Pittella e i Robortella sono già sulla Basentana…
Questi sono fenomeni che stanno dentro una logica che è possibile volgere in positivo. Certo, è possibile anche che assumano le dimensioni della patologia. Ma sono sicuro che questo non accadrà.
Secondo lei qual è il grande cambio di rotta che il governo regionale dovrà fare nei prossimi anni?
Due cose: da una parte diventare sempre di più integrato con le altre regioni del Mezzogiorno, e dall’altra prestare più attenzione alle energie locali siano esse proposte nella dimensione istituzionale, siano esse proposte nella dimensione sociale e imprenditoriale. Ma è soprattutto necessario alimentare le reti di fiducia, investire sui beni reputazionali e innescare una nuova coscienza di luogo. Infine, è necessario riapplicare metodi rigorosi di valutazione, di premilaità e di uso delle risorse pubbliche.
E’ molto interessante l’idea di modulare il governo regionale lucano sull’onda di quello pugliese e campano.
Sì, noi dovremmo rafforzare la nostra collocazione lungo l’asse Campania-Puglia, e quindi aprire la regione Basilicata a un sistema di relazioni, ma anche a un’analisi che assuma uno scenario più vasto. Io vedo le realtà più effervescenti in Campania e in Puglia, meno in Calabria. E quando dico coscienza di luogo non dico isolamento, dico invece che lo sguardo diventa tanto più lungo se i piedi sono ben saldi per terra.
Tutto questo sarà molto utile quando nel 2013 l’Ue smetterà di finanziare le regioni del Sud Italia a favore di altre regioni più disagiate.
Questo è un luogo comune. Sin dal 2006 si dice che non ci saranno più i finanziamenti europei. Ora tutti ripetono che dopo il 2013 non ci sarà più nulla. E rischiamo di creare una cesura tra il 2013 e il 2020. Le risorse europee invece ci saranno. La discussione che si sta producendo nella Commissione europea va esattamente della direzione di riconfermare le politiche di sviluppo regionale, e di rafforzarle, perché si è verificato che l’abbandono troppo repentino di regioni in difficoltà costituisca motivo di pericolo. Il problema è farsi trovare pronti con progetti lungimiranti. Non si può più ragionare in maniera episodica. Bisogna sviluppare politiche europee coerenti ed integrate.
Come immagina la nuova giunta regionale? Diventerà assessore chi ha ottenuto più voti?
Questa sarebbe una grande sciocchezza. Io penso che la giunta deve esser costruita, come il Presidente De Filippo ha annunciato, puntando alla qualità, all’efficienza e all’autorevolezza.
Guai se la giunta serve a premiare quei meccanismi che possono compromettere l’impegno per alimentare la buona politica. Anzi, io proverei a riflettere sull’opportunità di fare una netta distinzione tra mandato popolare ed esercizio della funzione esecutiva. Tanto per essere chiari: o si è consiglieri o si è assessori.
L’impegno amministrativo non deve essere compromesso dalle logiche del consenso.

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