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di DOMENICO TALIA
Negli ultimi due anni lo sport preferito da molti italiani è stato il “Tiro al Professore”. Giornali, politici, nuovi ricchi e vecchi poveri si sono esercitati a sparare sui professori universitari: baroni, spreconi e fannulloni. Il quotidiano Libero addirittura era arrivato a chiamarli anche “papponi”. Gli sprechi, i concorsi truccati e il familismo accademico hanno certamente originato e favorito questo sport, ma i detrattori dell’Università e della ricerca si sono scordati dei tanti che nelle aule e nei laboratori lavorano oltre il dovuto in condizioni misere rispetto ai loro colleghi stranieri. Hanno dimenticato la situazione dei fondi di ricerca estremamente scarsi in Italia e spesso dati in ritardo. Così, come sempre, quando si spara nel mucchio, a essere colpiti sono stati anche i tanti docenti, ricercatori (precari e non) che fanno il loro dovere e a volte anche di più di quello. E’ stata colpita l’Università nella sua interezza, senza saper distinguere tra i baroni profittatori e gli onesti docenti e ricercatori. Se l’italico sport di avventarsi sulla preda più in vista, lasciasse il posto alla giusta analisi e alla critica di quelli che realmente sono i responsabili delle clientele, dei concorsi truccati e di corsi fantasma, forse si potrebbe migliorare la situazione delle università e della ricerca italiana e si eviterebbe la corsa che si sta facendo oggi a cambiare tutto perché nulla cambi. L’Italia è uno strano paese: ha trovato risorse per l’Alitalia decotta, per le banche che si sono arricchite a volte anche a danno dei poveri risparmiatori e dell’industria che quando ha bisogno dei soldi pubblici dimentica le leggi del mercato e della competitività, ma non vuole spendere i suoi soldi e le sue risorse per la ricerca, la scuola e l’università, cioè per il suo futuro. Nel mondo il sapere viene valorizzato e invece l’Italia manda via i giovani che usano le loro menti per innovare la società e così facendo arricchisce le altre nazioni che sono contente di accoglierli a braccia aperte. Negli ultimi mesi il governo Berlusconi ha deciso di tagliare drasticamente i fondi alle università pubbliche e ha avviato una riforma che, seppure ha degli elementi positivi, introduce maggiore precarietà nelle università mettendo di fatto fuori della possibilità di una carriera i tanti giovani brillanti che per soprattutto passione hanno deciso di dedicarsi allo studio e alla ricerca. Una riforma che consegna le Università in mano a pochi (le solite potenti baronie) e che quindi non sarà esente dai mali presenti e passati. La situazione è ormai estremamente difficile e da novembre molte università rischiano di dover tagliare i corsi di laurea e aumentare le tasse per gli studenti, rendendo molto pesante la situazione di tante famiglie che sostengono lo studio dei loro figli e che già stanno soffrendo per la crisi economica. Ci sarà qualcuno capace di far tornare alla ragione i ministri Tremonti e Gelmini e a far capire loro che non basta l’obbligo dei grembiulini per salvare un paese dalla decadenza? O siamo destinati a veder soccombere ingegneri, biologi e letterati sotto il regno dei tronisti, dei “grandi fratelli” e delle letterine? I ricercatori e soprattutto i giovani precari si stanno mobilitando per denunciare questa drammatica situazione e per far capire al Governo che è necessario rivedere le sue scelte che sono sbagliate e dannose ed è invece doveroso destinare maggiori risorse alle università per rendere efficaci per la nostra nazione le intelligenze dei giovani laureati, dei dottori di ricerca e degli assegnisti che quotidianamente fanno molto per le università italiane. Questo è il momento di stare dalla parte giusta che in questo caso è anche la più debole, quella dei giovani precari e dei ricercatori che lottano per avere un futuro nella ricerca e nella cultura e per dare un futuro all’Università italiana e allo sviluppo dell’Italia.

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