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«ANCHE lei alla manifestazione?». Il tabaccaio di via Pretoria sente un accento diverso e fa subito due più due. Il modo migliore di prendere questa giornata è ripercorrere a ritroso i passi di Elisa: dalla Trinità lungo via Pretoria, poi giù per le scale di via IV Novembre fino a incontrare via Mazzini, dove dall’alto si scorge tra i palazzi grigi un enorme striscione color arcobaleno. Ci siamo: il giorno è arrivato. «Tu quindi sei cresciuta nell’ambiente Libera?» è la conversazione che due ragazze si scambiano davanti a una tazza di caffè. Hanno al collo la scarpina colorata d’ordinanza, abbigliamento casual e scarpe da tennis consumate. E’ il mood che caratterizza le migliaia di ragazzi che a scaglioni iniziano a ingrossare le fila del corteo. I più numerosi sono i piemontesi, a Potenza ci sono venuti in treno e le ore di viaggio non le contano più. La gente che li guarda sfilare dalle finestre si vede che ha una gran voglia di venire giù. Li fotografa, li applaude, dispensa sorrisi. E’ un’invasione pacifica e colorata, è la meglio gioventù di tutta Italia, da Padova a Corleone. Lo striscione più fantasiosoha la forma del sole, lo hanno confezionato per l’occasione alcuni studenti di una scuola in provincia di Lecce: quando lo aprono su ogni raggio c’è una fila di nomi, quelli dei morti ammazzati. Giovanni Falcone campeggia su uno stendardo disegnato a mano, altri circolano con slogan antimafia attaccati dietro la schiena e insieme sul petto in modalità “panino”. La musica è merito del camioncino di Libera, l’unico autorizzato a camminare al fianco dei manifestanti. I controlli sono rigidi e le forze dell’ordine dispiegate negli snodi della marcia si fanno sentire. La testa del corteo è la mamma di Elisa Claps, il fratello Gildo, sotto braccio a don Marcello Cozzi. Don Ciotti è personalità nazionale, si concede volentieri alle interviste. Gli scout si tengono per mano a formare un cordone che delimita gli spazi consentiti. Subito dietro ci sono le vittime di mafia, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unita. La loro provenienza geografica indica immediatamente qual è il nemico. Hanno le mani vestite di parole («Per il nostro dolore fine pena mai»), al collo cartelli che gridano vendetta per quel carabiniere ucciso, per quel figlio perduto. I campani hanno indossato «La camorra non vale niente». Giallo, arancio e fuxia sono i colori del corteo. Il reggae e i Modena City Ramblers la colonna sonora. La politica è presente, ma dimessa. Si ritaglia un posto in terza fila tra i gonfaloni, sfila con compostezza silenziosa e sorridente. Il sindaco di Potenza è emozionato, si vede: le cose sono andate bene. Quindicimila persone hanno usato (finalmente) le scale mobili. Nessun disagio per chi non partecipa e servizi quanto basta per chi viene da lontano. De Filippo lo sentiremo solo leggere i nomi delle vittime di mafia una volta che il corteo sfogherà in viale Verrastro. Nessun discorso compassato, niente passerelle. Il primo a iniziare però è Gino Strada. La folla lo accoglie con una forte emozione. La piazza intanto si riempie delle quarantamila anime (80mila per gli organizzatori) ansiose di fermarsi ed ascoltare il palco. Ai bordi i banchetti dei taralli dei terreni confiscati e le mozzarelle antimafia. Fotografi e cronisti si assiepano agilmente davanti alle prime file, dove intanto si accomodano i parenti delle vittime. La figlia di Libero Grassi, Stefania, commuove un po’ tutti con i suoi auguri al papà. E’ il 19 marzo e molti dei presenti a quei papà dovranno dedicare un augurio da lontano. Gli scortati guadagnano l’area loro riservata, rigorosamente off limits. C’è Gianfranco Caselli, Antonio Ingroia. C’è l’ex presidente della Commissione antimafia Francesco Forgione, la vedova di Francesco Fortugno. Le telecamere sono tutte per loro, i microfoni cercano dichiarazioni. Una volta sul palco scandiranno i novecento nomi insieme a vescovi, sindacalisti, attivisti, forze dell’ordine, gente comune. Quasi a sottolineare il dolore di quel lungo elenco una pioggerellina fitta inizierà a cadere dal cielo. Qualche ombrello aperto, nessuna ritirata. Parenti e manifestanti ascolteranno lo scorrere di quella lista fino all’ultimo. Poi sarà il turno di don Marcello Cozzi, che dell’evento è mente e organizzatore. Nel suo discorso si conta una sola volta la parola «silenzi», il miglior messaggio è leggere quanto gli ha scritto Napolitano, come farà qualche minuto dopo aver scaldato la folla. «Mi sento un moscerino davanti a tutti voi, quanti siete!», si fa avanti Filomena Iemma che di tutti i familiari delle vittime lucane ormai è diventata il simbolo. |Sembra davvero troppo piccola e indifesa tutta sola su quel palco. Don Ciotti la stringe a sè e la bacia affettuosamente: «C’è tanta buona chiesa qui, Filomena. Mi auguro che vada avanti questo processo di purificazione: per una chiesa più povera, più libera dal potere, più coraggiosa, meno prudente». L’applauso esplode in una piazza ormai piena, mentre dal cielo ha smesso di piovere.

Rosamaria Aquino

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