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Caro direttore,
la tua lettura politica del “dopo” archiviazione dell’inchiesta “Toghe Lucane” chiama in causa anche la sinistra e, per quanto mi riguarda, senza alcuna pretesa di rappresentare tutta la sinistra, sollecita più di una riflessione.
Senza girarci intorno, è vero che la sinistra per troppi anni ha subito la “sindrome del giustizialismo facile” alimentato dall’onda di Mani Pulite in poi ed ha risentito del fiato sul collo di quanti hanno agitato la bandiera della legalità come unici sostenitori di moralità, eticità, giustizia, difesa dei cittadini dalla corruzione.
Adesso, con la conclusione giudiziaria di “Toghe Lucane”, possiamo voltare pagina, alzare il profilo della politica, come tu inviti tutti i partiti a fare, e soprattutto liberarci una volta per tutte di quella “sindrome”. Credo in proposito che non ci sia bisogno né di processi a magistrati, politici e giornalisti che hanno sostenuto la tesi della “cupola d’affari” e tanto meno di far decantare nel nulla il “golpe giudiziario”, come lo chiami tu. Per chi viene dall’esperienza di lavoro nel sindacato e che ha conosciuto tante stagioni difficili per la democrazia (tra tutte quella dell’attacco delle Br allo Stato), la strada da indicare è quella di sempre, delle assemblee di base, degli incontri con la gente per spiegare e discutere e rilanciare quella partecipazione popolare che sinora è mancata o è stata decisamente minore. E per spiegare perché l’impegno quotidiano della sinistra per la legalità non ha raggiunto i cittadini.
Sono convinto che la sinistra può tornare ad essere, come lo è stato per lunghissimi anni anche in Basilicata, forza di grandi consensi popolari ed orgogliosamente in prima fila nella battaglia per la legalità, soprattutto dopo la Giornata di Memoria alle vittime di mafia e di impegno di qualche giorno fa a Potenza. Lo abbiamo detto in quell’occasione e lo ripetiamo oggi. La lotta alle mafie non può essere scissa, per sua stessa definizione, dalla battaglia a favore dell’affermazione dei diritti di cittadinanza universalmente riconosciuti o, in taluni casi, della loro difesa. Non può essere scissa dalla battaglia in favore dell’eguaglianza di opportunità nel diritto di accesso al futuro.
Non può essere scissa dalla battaglia in difesa di quel bene comune che è la nostra Costituzione repubblicana e di quei suoi principi fondanti, purtroppo ancora oggi sotto attacco. Non può essere scissa dalla battaglia in favore di un avanzamento verso una Democrazia ancora più compiuta.
Oggi nel nostro Paese la corruzione rappresenta un cancro in rapida espansione, un costo per i contribuenti onesti, stimato dalla Corte dei Conti, tra i 50 e i 60 miliardi di euro, il che significa circa 1000 euro annualmente versati da ogni italiano nelle casse del malaffare.
Un dato che, secondo l’ultimo rapporto di Trasparency International, fa precipitare il nostro Paese al 67emo posto per trasparenza nelle decisioni pubbliche, il peggior dato dal 1995. Anche il governatore di Bankitalia Draghi ha lanciato più volte allarmi espliciti, secondo i quali le mafie si stanno infiltrando sempre più capillarmente nelle pubbliche amministrazioni, limitando fortemente non solo la fiducia dei cittadini nelle istituzioni ma indebolendo irreversibilmente anche il capitale sociale della Nazione.
L’antimafia è dunque un infinito cammino verso il raggiungimento di una pubblica e consapevole legalità. Comporta inevitabilmente, scontri con le consorterie di ogni colore politico e con le rendite di posizione, con l’obiettivo di contribuire a colmare finalmente quel vuoto di giustizia rappresentato dalla corruzione.
E in tutto questo la sinistra ha molto cammino da fare senza mai abbassare la guardia, proprio come abbiamo fatto di recente con la vicenda del finanziamento al progetto candidato da un’associazione presieduta da un giovane dirigente dell’Udc e prima ancora con la l’inchiesta giudiziaria su San Carlo e sanità e con la brutta storia del doppio salario ai quattro consiglieri regionali-senatori.
Abbiamo dimostrato innanzitutto di non avere più remore nei confronti dei giustizialisti a tutto campo, sicuramente più bravi di noi a riempire i giornali di comunicati e dichiarazione, salvo poi a tacere in occasione dell’archiviazione di “Toghe Lucane”.
Non ci sfuggono gli scontri interni alla magistratura, in Basilicata come a Catanzaro. Per noi la “questione morale” non è “questione giudiziaria” ma politica. Etica politica significa qualità dell’azione amministrativa, coerenza tra le scelte programmatica e la loro concreta attuazione.

Noi, come ripete tutti i giorni Nichi Vendola, vogliamo rappresentare l’Italia Migliore che crede nella svolta politica e nella nuova primavera di riscatto. In questi anni bui per il mondo del lavoro con le relative difficoltà della sinistra a ricomporre e a riunificate i diversi bisogni e a garantirne la rappresentanza politica, abbiamo imparato a riconoscere veri e falsi compagni di viaggio e continuiamo a sostenere che l’alternativa va costruita mettendo in sintonia la politica con i movimenti di lotta sociale, a difesa del lavoro, dei diritti e dell’ambiente. Ciò al fine di favorire l’ampliamento del fronte delle forze che vogliono costruire un futuro migliore per tutti gli italiani.
La frantumazione del lavoro, il prevalere dell’individualismo, le spinte separatiste, le discriminazioni diffuse (sociali, di genere, razziali, ecc.) impongono alla sinistra di fare autocritica, di riconoscere la propria responsabilità su alcune scelte del passato e fare oggi uno sforzo per ricostruire la sua identità per una società fondata sui valori della uguaglianza, della giustizia e della solidarietà.

E’ a quell’Italia migliore, fatta di cittadini che hanno preferito la fatica dell’onestà alla politica di palazzo, che non dobbiamo mai stancarci di indicare il percorso da compiere insieme senza nasconderne le possibili insidie.

Giannino Romaniello
Sel

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