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di DOMENICA TALIA
Li vediamo arrivare su vecchi barconi malridotti che sembrano inadatti e incapaci di giungere in fondo ad una traversata lunga centinaia di chilometri tra le onde del Mediterraneo. Ma nonostante ciò si mettono in viaggio nella speranza di raggiungere il Nord del Mondo. Li vediamo arrivare ammassati in spazi angusti e sporchi e non riusciamo a immaginare come siano stati in quelle condizioni per giorni su un mare sempre pronto al dramma. Come si sono nutriti durante un viaggio in quelle condizioni disumane? Come hanno potuto soddisfare i loro bisogni fisiologici? I bambini come hanno potuto resistere per giorni in braccio o accanto alle mamme stanche e distrutte dalla fame e dalla paura? Li vediamo ammassati in migliaia uno accanto all’altro sulle coste di Lampedusa come i pinguini durante la stagione della riproduzione sulle coste delle Galapagos. Li vediamo saltare le reti metalliche, i cancelli o i muri dei Centri di accoglienza (nome che oggi suscita ironia) che sono di scarsa accoglienza e sui cui varchi compare la scritta “Vietato l’ingresso” quasi a significare che invece l’uscita è libera. Li vediamo scappare nelle campagne del Sud d’Italia alla ricerca di una stazione ferroviaria, in fila indiana ai bordi di strade strette o di superstrade. Ormai solo loro vanno a piedi per chilometri su strade assolate e deserte. Gli italiani gli passano accanto in macchina e spesso fanno finta di non vederli, talvolta qualcuno si ferma per dare loro un breve passaggio verso la stazione più vicina. Spesso loro non sanno bene se la direzione che seguono è quella giusta, ma appena incontrano qualcuno chiedono la strada per il Nord, per Milano, per la Francia, per la Germania. Sono ormai arrivati in Europa e il vento del bisogno e della speranza li spinge ancora verso i luoghi dei loro parenti, dei loro amici, dove qualcuno li aspetta per permettere loro di lavarsi, cambiarsi, dormire. Cose che ogni essere umano dovrebbe poter fare quotidianamente e che loro non fanno da giorni, forse da settimane. Questo esodo segue un percorso che ha l’Italia del Sud come prima meta, ma è evidente che per moltissimi di loro non è l’Italia la meta da raggiungere e men che meno il Sud dell’Italia dove le condizioni di vita e di lavoro sono tra le più difficili del continente europeo. Loro questo lo sanno e le nostre regioni per loro sono solo un transito, una stazione intermedia verso il Nord Italia, la Francia, la Svizzera e i Paesi del Nord Europa che non stanno facendo nulla per riceverli, anzi che non li vogliono, li respingono. Anche se solo Umberto Bossi ha avuto il coraggio razzista di esprimere in tre rozze parole il concetto di rifiuto radicale che piace molto al popolo padano: “Fuori dalle balle!”, sulla questione il pensiero di Nicholas Sarközy de Nagy-Bocsa (nome da immigrato), di Angela Merkel e di David Cameron non è molto differente. Solo che questi signori trascurano o sottovalutano l’enorme spinta che c’è dietro il percorso doloroso che dal Nord dell’Africa porta al Nord dell’Europa, l’immenso impulso che sta dietro questo calvario fatto dalle tante stazioni che l’umanità sofferente del Nord Africa sta percorrendo. Uomini e donne che sono spinte dal gradiente della speranza che è più forte della resistenza razzista e conservatrice dei ricchi d’Europa. In matematica il gradiente è un vettore che indica la direzione in cui una grandezza cresce più rapidamente. La sua quantità rappresenta la velocità di questa crescita, ovvero la pendenza lungo tale direzione. I fisici direbbero che i flussi di materia si muovono sempre lungo un gradiente. Ecco, i migranti seguono il gradiente della speranza nella direzione Sud-Nord. Seguono la pendenza maggiore del desiderio di una vita migliore, della necessità di scappare dalla fame di pane e di lavoro, dalla povertà assoluta, e dai regimi dispotici. Seguono quel flusso che in maniera ineluttabile si muove nella direzione Africa-Europa. Infatti, la pendenza più elevata della disuguaglianza sociale e della speranza di una vita libera dalla violenza e dalla miseria è nel vettore che parte dall’Africa del Nord e si muove dritto in direzione dell’Italia e ancora più su, verso la Francia, la Svizzera e la Germania. E come si può notare, il concetto matematico in questo caso rappresenta bene un fenomeno sociale di portata storica. Nel dicembre scorso ho visitato l’Algeria solo qualche settimana prima dello scoppio delle rivolte popolari. Durante quella visita, discutendo con alcuni giovani studenti universitari appariva evidente la loro determinazione a lasciare il paese appena laureati per avere un lavoro e un futuro in Europa. Ho provato a chiedere loro perché non pensavano di fare qualcosa nella loro nazione. Le risposte erano concordi e non mostravano dubbi: la nazione non offriva loro un lavoro sicuro e non esisteva la possibilità di sviluppare iniziative imprenditoriali. Non avevano libertà di agire. Il paese non dava loro un futuro e loro non potevano contribuire al futuro del loro paese. L’unica cosa certa per loro era partire. Anche questa piccola esperienza personale mostra che è del tutto inutile far finta che questa massiccia diaspora sia semplicemente il frutto della follia degli africani che rischiano la vita e a volte la perdono, o l’ambizione illogica e arrogante di gente che viene a disturbare il nostro benessere e a chiedere di usufruire di una sua, seppur piccola, parte. Al contrario, le ricche società e i ricchi governanti d’Europa e del mondo farebbero bene a prendere in seria considerazione l’effetto del gradiente sociale che esiste tra le società africane ed europee e partire da quello per abbandonare logiche neocolonialiste per sostenere politiche di perequazione che possano rendere minimo il gradiente o per annullarlo. Politiche che permettano agli uomini e alle donne del terzo mondo di trovare nelle loro terre condizioni di vita tali da consentire loro di rimanere in quelle nazioni senza dover avventurasi su mari e strade per loro ostili ed inospitali. Le rivoluzioni del Nord Africa e del Medio Oriente cambieranno nei decenni futuri le vite di molti cittadini del mondo occidentale. Chiunque voglia realmente governare i cambiamenti che stanno avvenendo a causa di quelle rivolte e aiutare uno sviluppo più equo del mondo dovrà necessariamente lavorare per abbassare il gradiente della disuguaglianza tra il Nord e il Sud del mondo nel comune interesse dell’Occidente ricco e dell’Africa povera che merita un futuro che sia migliore del suo presente.

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