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Un’alleanza molto più che un incidente estemporaneo. Un filo diretto destinato a riallacciarsi all’occorrenza, secondo i bisogni di entrambe le parti. Il patto tra l’ex vicepresidente della giunta regionale e gli uomini della ‘ndrina che un tempo faceva capo al boss pentito Antonio Cossidente viene fuori così dall’inchiesta dell’antimafia potentina che volge alle battute conclusive. Voti in cambio di favori e posti di lavoro. Cene con gli amici del clan e persino una mediazione per far confluire le loro preferenze su un suo fedelissimo. Perché candidarsi a tutte le elezioni è impossibile. Ma si sa che in politica quella di pesarsi ogni volta che è possibile più che una tentazione è una necessità, almeno per chi ha in mentre di provare una scalata. Serviva sostenere la candidatura di Luigi Biscione alle comunali del 2004 nel capoluogo per questo Mancusi e il luogotenente di Cossidente, Carmine Campanella, si sarebbero attivati per organizzare una cena con un po’ di gente al ristorante La Pineta di contrada Rossellino, un posto tranquillo da dove si gode la vista dall’alto sulla città che di notte fa sempre un certo effetto, di proprietà dello stesso Biscione. Dieci mesi più tardi invece ci sarebbe stato l’appuntamento con le regionali, e per accaparrarsi quante più preferenze l’ex assessore all’ambiente e alle infrastrutture della giunta De Filippo avrebbe chiamato a raccolta gli amici del clan in un altro ristorante fuori città, L’oasi, al Pantano di Pignola. I militari del Ros dei carabinieri, lavorando su intercettazioni dell’epoca e quant’altro potesse servire, sarebbero riusciti a circostanziare entrambi gli episodi, stilando anche una lista dei presenti dove figurerebbero diversi dei più noti esponenti della “famiglia tutta lucana. Se Mancusi sapesse o meno con chi stesse accompagnando è questione da aule di Tribunale, dato che da quando il boss della calciopoli rossoblu e del misterioso omicidio Gianfredi ha cominciato a fare il suo nome, giusto due anni fa, ha sempre smentito qualsiasi «contiguità» con realtà criminali o soltanto «ambigue e discutibili». Eppure gli inquirenti sembrano molto convinti del fatto loro e nei prossimi giorni dovrebbero stringere il cerchio, chiudendo le indagini e inviando gli avvisi del caso prima di pensare a un processo vero e proprio. Campanella, d’altra parte, sta scontando in carcere una condanna a 15 anni, in appello, per traffico di coca più altri 8, sempre in appello, per aver fatto parte di una ‘ndrina operante nel capoluogo con legami ben saldi nella Locride. I militari dell’Arma lo hanno arrestato a febbraio del 2006 e da allora si trova in carcere a regime di 41bis, quello riservato ai detenuti più pericolosi. Sul registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa figurerebbe anche il “re delle preferenze” del consiglio comunale del capoluogo, Roberto Galante, indicato da Cossidente come uno dei politici assieme a Mancusi, all’ex assessore al bilancio di Potenza Rocco Lepore (già condannato a 7 anni in primo grado a giugno) e al consigliere regionale Luigi Scaglione, che tra il 2004 e il 2005 avrebbe beneficiato dei voti del clan. Ma in questa vicenda è chiaro che un ruolo particolare spetta proprio al candidato Luigi Biscione, non eletto nel 2004, ma da sempre fedelissimo di Mancusi, premiato a febbraio del 2010 con la nomina in quota Udc nel consiglio di amministrazione di Acqua spa, la società ideata per assumere la gestione dell’ex Ente irrigazione che attende ancora diventare operativa, mentre gli emolumenti da minimo 3.400 euro al mese per i membri del cda vengono già erogati puntualmente alla fine del mese. Una storia nella storia. Mancusi, dopo le convocazioni in procura di alcuni dei suoi più stretti collaboratori e le notizie pubblicate dal Quotidiano, venerdì scorso ha rassegnato le sue dimissioni dalla giunta regionale, subito raccolte dal presidente Vito De Filippo. Secondo gli inquirenti avrebbe fatto incetta dei voti del clan in cambio dell’affidamento ai reduci potentini della “famiglia tutta lucana” della sicurezza all’interno dello stadio comunale Viviani, soppiantando gli uomini dell’altro storico clan del capoluogo, quello guidato da Renato Martorano. Qualcosa di simile si sarebbe ripetuto per una discoteca di Potenza di proprietà, ancora una volta di Biscione: voti in cambio di lavoro come addetti alla sicurezza. Cossidente ha datato la conoscenza con l’ex vicegovernatore al 2002, quand’era soltanto consigliere regionale di opposizione eletto nelle file di Forza Italia, e il boss era appena uscito dal carcere per scadenza dei termini di custodia cautelare dopo il maxi-blitz della prima operazione contro la “quinta mafia”, quella partita a seguito della morte di un agente di polizia (Francesco Tammone) ucciso da uno dei suoi “sodali” calabresi durante un controllo finito male. Di lì a qualche mese Mancusi sarebbe stato rieletto, questa volta sotto le bandiere dell’Udc. Difficile non cogliere la portata politica della sua sfida di allora: mollare gli amici del partito di Berlusconi dove si sentiva sacrificato per prendere le redini dei casiniani e rispondere soltanto a Roma. Una sfida tanto ambiziosa che in pochi avrebbero scommesso che alla fine ci sarebbe riuscito, invece è andata così e dopo aver conquistato la rielezione in consiglio regionale Mancusi ha guidato con successo i centristi sempre più verso sinistra, guadagnandosi l’ingresso nella giunta cinque anni più tardi, nel 2010, e persino la poltrona del vicepresidente.

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