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Il candidato Barozzino risponde a Sergio Marchionne: «Servirebbero fatti non solo parole» 
«L’Ad? Vorrei fosse persona seria» «L’amministratore Fiat farebbe bene a dialogare con chi pone perplessità» MELFI – Dal teatro Carignano di Torino, Sergio Marchionne, intervistato da Ezio Mauro, sulle relazioni sindacali non dice tutta la verità. Ha parole di riconoscimento per il ruolo che ha giocato il sindacato americano nel risorgimento Chrysler, rimprovera a quello italiano la mancata unità che renderebbe di fatto la ripresa più facile, ma quando il direttore di Repubblica gli contesta di aver fatto un gran lavoro per spaccare le tre principali confederazioni, l’amministratore delegato Fiat dice che “no, non è così”, che il dialogo con Cisl, Uil e Fismic è quasi quotidiano e che c’è una sola parte marcia nel sindacato italiano che si chiama Fiom. O meglio, Maurizio Landini. «Perché – sostiene il top manager che ammette di avere un pò di difficoltà a pronunciare il nome del segretario nazionale dei metalmeccanici della Cgil – prima che arrivasse lui le cose non erano così». Rispetto a quel braccio di ferro che ormai l’azienda ha intrapreso da tempo con il primo sindacato italiano, Marchionne non dà risposte. Dice solo che non ha diritto di avere rappresentanza in fabbrica perché non ha sottoscritto il contratto voluto dalla maggioranza dei lavoratori. E rispetto al caso Pomigliano assicura che “tutto è risolto”. Salvo scoprire, a sole poche ore di distanza, che la soluzione per Marchionne è sempre la stessa: l’azienda ha ragione sempre e comunque. Lo hanno imparato a loro spese i 18 lavoratori che ieri mattina si sono presentati davanti ai cancelli dello stabilimento campano per essere rispediti a casa subito dopo. Cosa si prova lo sa bene Giovanni Barozzino, vittima di quella battaglia combattuta sul campo di Melfi, che l’ha visto soccombere insieme agli altri due colleghi iscritti alla Fiom e licenziati nell’estate del 2010. Lui che è stato l’operaio più votato in Sata in qualità di delegato sindacale interno, oggi corre per il Senato nella lista di Nichi Vendola, e incarna il simbolo del riscatto di quella classe operaia “mandata all’inferno”. Alle parole dell’amministratore delegato che l’ha messo fuori e che che si è rifiutato di reintegrarlo in fabbrica, incurante della sentenza del Tribunale di Melfi, replica così: «Mi hanno colpito alcune delle affermazioni riportate dalla stampa e relative all’intervista rilasciata domenica da Marchonne. Ce ne sono due che riguardano un atteggiamento “presuntuoso”, quello di Landini e della Fiom, e “arrogante”, quello della Volkswagen. Evidentemente Marchionne non sopporta coloro i quali lo riportano alla realtà: chi vuole discutere del futuro degli stabilimenti e della strategia industriale in Italia e chi gli dimostra concretamente cosa sia una strategia industriale significativa. “Presuntuoso” infatti sarebbe Landini che vuole discutere con l’azienda mentre Marchionne dice che discute sempre con i sindacati e discuterebbe anche con la Fiom se si riconciliasse con gli altri. A questo proposito mi piacerebbe dire che non serve discutere con chi è d’accordo ma semmai con chi pone delle perplessità. Quanto alla dichiarazione della piena occupazione prima dei prossimi tre anni, voglio semplicemente dire, innanzitutto, che questo è ciò che vorrebbe ogni lavoratore e mi piacerebbe che alle parole seguissero i fatti. Poi, utilizzando le stesse parole di Marchionne con riferimento all’identikit del prossimo premier, vorrei dire che a me piacerebbe un Ad di Fiat che fosse una persona seria che prenda gli impegni e li rispetti. Non basta che faccia fare i sacrifici ma è necessario che dica anche a che cosa servono. I lavoratori sono stufi di fare sacrifici a fronte di impegni che cambiano di volta in volta, di giorno in giorno». m.labanca@luedi.it xzxz«xz«fjdkslfjdskljfgdksl 

 MELFI – Dal teatro Carignano di Torino, Sergio Marchionne, intervistato da Ezio Mauro, sulle relazioni sindacali non dice tutta la verità. Ha parole di riconoscimento per il ruolo che ha giocato il sindacato americano nel risorgimento Chrysler, rimprovera a quello italiano la mancata unità che renderebbe di fatto la ripresa più facile, ma quando il direttore di Repubblica gli contesta di aver fatto un gran lavoro per spaccare le tre principali confederazioni, l’amministratore delegato Fiat dice che “no, non è così”, che il dialogo con Cisl, Uil e Fismic è quasi quotidiano e che c’è una sola parte marcia nel sindacato italiano che si chiama Fiom. O meglio, Maurizio Landini. «Perché – sostiene il top manager che ammette di avere un pò di difficoltà a pronunciare il nome del segretario nazionale dei metalmeccanici della Cgil – prima che arrivasse lui le cose non erano così». Rispetto a quel braccio di ferro che ormai l’azienda ha intrapreso da tempo con il primo sindacato italiano, Marchionne non dà risposte. Dice solo che non ha diritto di avere rappresentanza in fabbrica perché non ha sottoscritto il contratto voluto dalla maggioranza dei lavoratori. E rispetto al caso Pomigliano assicura che “tutto è risolto”. Salvo scoprire, a sole poche ore di distanza, che la soluzione per Marchionne è sempre la stessa: l’azienda ha ragione sempre e comunque. Lo hanno imparato a loro spese i 18 lavoratori che ieri mattina si sono presentati davanti ai cancelli dello stabilimento campano per essere rispediti a casa subito dopo. Cosa si prova lo sa bene Giovanni Barozzino, vittima di quella battaglia combattuta sul campo di Melfi, che l’ha visto soccombere insieme agli altri due colleghi iscritti alla Fiom e licenziati nell’estate del 2010. Lui che è stato l’operaio più votato in Sata in qualità di delegato sindacale interno, oggi corre per il Senato nella lista di Nichi Vendola, e incarna il simbolo del riscatto di quella classe operaia “mandata all’inferno”. Alle parole dell’amministratore delegato che l’ha messo fuori e che che si è rifiutato di reintegrarlo in fabbrica, incurante della sentenza del Tribunale di Melfi, replica così: «Mi hanno colpito alcune delle affermazioni riportate dalla stampa e relative all’intervista rilasciata domenica da Marchonne. Ce ne sono due che riguardano un atteggiamento “presuntuoso”, quello di Landini e della Fiom, e “arrogante”, quello della Volkswagen. Evidentemente Marchionne non sopporta coloro i quali lo riportano alla realtà: chi vuole discutere del futuro degli stabilimenti e della strategia industriale in Italia e chi gli dimostra concretamente cosa sia una strategia industriale significativa. “Presuntuoso” infatti sarebbe Landini che vuole discutere con l’azienda mentre Marchionne dice che discute sempre con i sindacati e discuterebbe anche con la Fiom se si riconciliasse con gli altri. A questo proposito mi piacerebbe dire che non serve discutere con chi è d’accordo ma semmai con chi pone delle perplessità. Quanto alla dichiarazione della piena occupazione prima dei prossimi tre anni, voglio semplicemente dire, innanzitutto, che questo è ciò che vorrebbe ogni lavoratore e mi piacerebbe che alle parole seguissero i fatti. Poi, utilizzando le stesse parole di Marchionne con riferimento all’identikit del prossimo premier, vorrei dire che a me piacerebbe un Ad di Fiat che fosse una persona seria che prenda gli impegni e li rispetti. Non basta che faccia fare i sacrifici ma è necessario che dica anche a che cosa servono. I lavoratori sono stufi di fare sacrifici a fronte di impegni che cambiano di volta in volta, di giorno in giorno». 

 

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