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VA così, con «l’età che mi richiede di presiedere». Il più anziano dei senatori in carica (Giulio Andreotti lo sovrasta di un un anno, ma è in precarie condizioni di salute, per questo assente) è sullo scranno più alto di palazzo Madama nel primo giorno di nuova legislatura. 

 
E così il senatore a vita Emilio Colombo ha l’onere e l’onore di aprire la prima seduta del Senato della Repubblica. Comincia così, a metà mattina, il corso del XVII parlamento, il giorno prima dell’anniversario del rapimento di Moro, con un costituente, con un emiciclo rinnovato per metà, più giovane, con più donne, con il Paese sfibrato e quello che accade tra i banchi per la prima volta raccontato in simultanea da migliaia di account social, dentro e fuori il Transatlantico. 
 
Il discorso di Colombo dura poco, «degasperiano», inevitabilmente rivolto alla Costituzione.Parecchi anni dopo quella prima seduta a cui prese parte, quella del 1946, Colombo ieri ha inaugurato i lavori del parlamento che ha superato la seconda Repubblica e segnato il fallimento del bipolarismo spinto, molto lontano dalle ideologia del secolo scorso, digitalizzato, precario nelle aspettative di durata. 
 
«La consultazione – dice al microfono –  ha rinnovato profondamente le rappresentanze parlamentari e ha fatto emergere significative diversità. Ora spetterà al parlamento comporle, renderle compatibili al servizio del Paese che vive una difficile complessa stagione». La via è la solita: «Nella ricerca di una sintesi utile all’Italia, ci sosterrà innanzitutto il costante riferimento alla Costituzione, insieme con la positiva declinazione dei regolamenti parlamentari e dei poteri ed ai doveri che ci assegna l’ordinamento repubblicano».
 
Si rivolge al parlamento che esprime «differenti interpretazioni culturali, politiche ed etiche». Ma guai, si appella, a non cercare una sintesi. «Ci sarebbe una paralisi istituzionale, con conseguenze drammatiche se non si riuscisse a costruire il governo dei grandi problemi sociali ed economici in atto». 
 
Colombo si rivolge all’assemblea, e nel frattempo l’assemblea twitta, ascolta  e mormora. I commenti si moltiplicano in diretta dentro e fuori l’aula, arrivano dalla Rete e dalla diretta tv. Un po’ rispetto, perché, «accidenti resta un padre costituente». Un po’ irriverenza che chissà come ci si arriva lucidi così. Qualche insulto, parecchi attestati. 
 
E’ un pezzo di storia. Comunque. E sta lì a dire qualcosa di buon senso. «Credo che il dialogo onesto e rigoroso, che è poi l’essenza della democrazia, più un’assunzione di comune responsabilità nella ricerca di soluzioni – aggiunge – possono trasformare le legittime contrapposizioni in energie creative e rigeneratrice della vita politica e istituzionale del Paese». Poi l’omaggio a Giorgio Napolitano, che arriva prima – lo faranno notare in parecchi – dell’augurio al nuovo Papa Francesco. «Un pensiero deferente va al presidente della Repubblica che con tanta saggezza e senso delle istituzioni e dello Stato guida il nostro Paese in uno dei momenti più difficili della nostra Repubblica». 
 
L’applauso, poi la ripresa. Tocca all’Europa, che nei discorsi dell’ex presidente del consiglio raramente manca. «L’Europa sia aperta e giusta: tenga conto delle esigenze di rigore ma anche quelle di sviluppo». 
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