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Un nuovo album per il Parto delle nuvole pesanti, il più importante gruppo calabrese in attività. Calabrese, anche se è nato ed è stato di stanza, da sempre, a Bologna. Son passati più di vent’anni dall’esordio, e dopo defezioni e assestamenti il Parto è lì, attorno alla figura sempre più centrale di Salvatore De Siena. Dopo la nomination al David di Donatello per “Onda calabra”, dopo la finale conquistata al Premio Amnesty International con “Giorgio”, arriva la nuova fatica: “Che aria tira”, nei negozi da pochi giorni (per Ala Bianca/Warner), la fotografia di questi giorni italiani. Anticipato dal singolo omonimo (del quale ci siamo qui occupati qualche tempo fa), l’album è una serie di dieci istantanee. Salvatore De Siena, Amerigo Sirianni e Mimmo Crudo sono accompagnati da Antonio Rimedio e Manuel Franco in un lavoro che definiscono di “musica sociale”. E infatti le canzoni sono dedicate al razzismo, al lavoro che non c’è, al lavoro che uccide, alla condizione carceraria, all’industria che non produce sviluppo ma malattia, al potere fine a se stesso (incarnato in “La poltrona”) che non cede il passo a una politica di servizio. 
Il Parto mette in scena una “tribù di sciroccati”, laddove lo “Scirocco” cantato nella canzone omonima è il vento meridionale pieno di rabbia, pieno di sabbia, distruttivo e metaforico, capace di generare un inspiegabile malessere. Tanta la carne al fuoco: le vittime del lavoro e la sicurezza ch’è ormai un optional di “Ho visto gente lavorare”, i veleni delle fabbriche nella caposseliana “Crotone” (con Fabrizio Moro ospite), il maestrale (altro vento) che porta le scorie radioattive in “La nave dei veleni”, un brano dal sapore greco che infatti sfocia in sirtaki. “Terapia sociale”, il pezzo più “elettronico” che sembra guardare verso un synth-pop alla Battiato, invoca una terapia morale che ci liberi dall’obbligo della farmacologia esasperata e dall’illusione dell’efficienza e dell’immortalità. “Che aria tira”, anche se alterna le atmosfere, è un disco dai suoni prevalentemente caldi e dai ritmi briosi, segnato da strumenti della tradizione ma di attitudine etno-rock-cantautorale. Intriso di influssi e profumi mediterranei, balcanici, arabeggianti, in esso è programmatica la mescolanza di storie e provenienze. In questo senso è una traccia centrale “Alì Ochialì”, che narra la vicenda del condottiero ottomano di origine calabrese che si convertì all’Islam e si distinse nella battaglia di Lepanto. Per continuare su questo solco, “Qualcuno mi ha detto” è tratta da una composizione del grande poeta turco Nazim Hikmet. In mezzo a tutti i temi, è bellissimo nella sua semplicità il verso-cesello contenuto in un brano: “Però gioiuzza mia, ricordati che tutto questo senza amore non è niente”. 
Il Parto è in tour, e proprio in questi giorni è in Calabria: dopo le date del 30 marzo (Rossano) e del 31 (Cirò Marina), sono attese tre presentazioni: il 2 aprile a Lamezia Terme alla libreria Tavella, il 3 alla libreria Ubik di Cosenza, e il 4 a Crotone, libreria Cerrelli, prima del concerto del 5 aprile, al Teatro Siracusa di Reggio Calabria.

UN nuovo album per il Parto delle nuvole pesanti, il più importante gruppo calabrese in attività. Calabrese, anche se è nato ed è stato di stanza, da sempre, a Bologna. Son passati più di vent’anni dall’esordio, e dopo defezioni e assestamenti il Parto è lì, attorno alla figura sempre più centrale di Salvatore De Siena. Dopo la nomination al David di Donatello per “Onda calabra”, dopo la finale conquistata al Premio Amnesty International con “Giorgio”, arriva la nuova fatica: “Che aria tira”, nei negozi da pochi giorni (per Ala Bianca/Warner), la fotografia di questi giorni italiani. 

Anticipato dal singolo omonimo (del quale ci siamo qui occupati qualche tempo fa), l’album è una serie di dieci istantanee. Salvatore De Siena, Amerigo Sirianni e Mimmo Crudo sono accompagnati da Antonio Rimedio e Manuel Franco in un lavoro che definiscono di “musica sociale”. E infatti le canzoni sono dedicate al razzismo, al lavoro che non c’è, al lavoro che uccide, alla condizione carceraria, all’industria che non produce sviluppo ma malattia, al potere fine a se stesso (incarnato in “La poltrona”) che non cede il passo a una politica di servizio. Il Parto mette in scena una “tribù di sciroccati”, laddove lo “Scirocco” cantato nella canzone omonima è il vento meridionale pieno di rabbia, pieno di sabbia, distruttivo e metaforico, capace di generare un inspiegabile malessere. Tanta la carne al fuoco: le vittime del lavoro e la sicurezza ch’è ormai un optional di “Ho visto gente lavorare”, i veleni delle fabbriche nella caposseliana “Crotone” (con Fabrizio Moro ospite), il maestrale (altro vento) che porta le scorie radioattive in “La nave dei veleni”, un brano dal sapore greco che infatti sfocia in sirtaki. “Terapia sociale”, il pezzo più “elettronico” che sembra guardare verso un synth-pop alla Battiato, invoca una terapia morale che ci liberi dall’obbligo della farmacologia esasperata e dall’illusione dell’efficienza e dell’immortalità. “Che aria tira”, anche se alterna le atmosfere, è un disco dai suoni prevalentemente caldi e dai ritmi briosi, segnato da strumenti della tradizione ma di attitudine etno-rock-cantautorale. Intriso di influssi e profumi mediterranei, balcanici, arabeggianti, in esso è programmatica la mescolanza di storie e provenienze. 

In questo senso è una traccia centrale “Alì Ochialì”, che narra la vicenda del condottiero ottomano di origine calabrese che si convertì all’Islam e si distinse nella battaglia di Lepanto. Per continuare su questo solco, “Qualcuno mi ha detto” è tratta da una composizione del grande poeta turco Nazim Hikmet. In mezzo a tutti i temi, è bellissimo nella sua semplicità il verso-cesello contenuto in un brano: “Però gioiuzza mia, ricordati che tutto questo senza amore non è niente”. Il Parto è in tour, e proprio in questi giorni è in Calabria: dopo le date del 30 marzo (Rossano) e del 31 (Cirò Marina), il 2 aprile a Lamezia Terme alla libreria Tavella, il 3 alla libreria Ubik di Cosenza, e il 4 a Crotone, libreria Cerrelli, prima del concerto del 5 aprile, al Teatro Siracusa di Reggio Calabria.

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