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OGGI E’ IL 25 APRILE DELLA LIBERAZIONE
MA PER CHI? segue dalla prima di LUCIA SERINO Quello che le cronache raccontano oggi è imbarazzante. Ecco, forse la parola giusta è questa. Non c’è un Batman lucano, ma un clima di illegalità diffusa, un soporifero e scontato utilizzo della propria funzione per spesucce personali e di famiglia. I giudici rimproverano due volte: per gli aspetti penali che ipotizzano e –appunto — per quelle piccole ruberie imbarazzanti per il livello non trascurabile degli stipendi di chi ora è finito nella melma. Ieri, parlando con un collega di Roma che oggi scrive un lungo pezzo sulle miserie lucane, mi restituiva il disturbo per il livello di bassezza morale di questa politica. Da questa bassezza politica il presidente della Regione Vito De Filippo si tiene alla larga dimettendosi. Lascia per non essere stritolato da una situazione che sarebbe rimasta bloccata anche se avesse nominato sei premi nobel nella nuova Giunta. Un ciclo è finito. In verità l’inchiesta sulle larghe spese non è ancora finita. Ma si tratta di fatti, come i due tre mila euro di francobolli spesi da De Filippo all’edicola di Via Marconi o le fatture dei giornali di Santochirico, che forse si smonteranno facilmente. Non è un caso che il pm abbia differenziato i tempi dell’inchiesta che comunque è un unico filone. Il governatore lascia perché aveva già mentalmente mollato da tempo. Oggi è il vero 25 aprile di liberazione per un uomo politico che ha dovuto subire l’agonia lenta del suo governo. La tempesta perfetta ci restituisce il clima di quello che abbiamo raccontato in questi giorni sulla giunta regionale bloccata. E spiega quell’eccitato e nevrotico fare comunicato a fiume. La frenesia dell’operare, in una regione in cui tutti sanno tutto, era lo scacciapensieri di un’angoscioso tormento. Le manette stavano per arrivare, la croce del peccato già issata da parecchio, Basilicata ultima di un Paese di imperdonabili che ha utilizzato le risorse del nostro sviluppo per fare feste, cambiarsi il parquet, portarsi le amiche in albergo, fare le feste ai figli mentre registro che molti genitori oggi non mandano i figli ai compleanni degli amichetti perché non possono permettersi neppure un regalo di cinque euro. Quelle vivident comprate dalla Mastrosimone o quei pranzi mai fatti al ristorante Fuori le mura di Potenza, falsamente fatturati solo per intascare soldi, sono davvero insopportabili. O dobbiamo giudicarli una leggerezza? Lo scrivo avendo più volte espresso un pessimo giudizio politico sull’assessore, maestra del cambio di partiti, diafana nell’azione di governo, esperta di banchetti di raccolta firme. Non è felice neppure ciò che i giudici scrivono dell’assessore Vincenzo Viti, ma temo stia pagando non solo per se stesso, il che non lo esonera dalle responsabilità (soprattutto quelle di un eventuale inquinamento probatorio) ma sicuramente restituisce meccanismi di deresponsabilizzazione secondo i quali c’è spesso un capro espiatorio predestinato. Un po’ come si fa in certi giornali, si sceglie un direttore responsabile di una certa età, tanto per scaricargli addosso le querele. Con l’arresto di Pagliuca, infine, oltre alle astuzie poco onorevoli e da cui gli auguro di difendersi, c’è la prova del grande inciucio politico-comportamentale di questa regione, inteso come un’unica linea d’ombra, quell’ inciucio che qualche giorno fa portò questo giornale a scrivere di una maledetta intesa sulla commissione Fenice. Detto questo e lasciando che accusa e difesa trovino l’incrocio del loro confronto, è dalla responsabilità dell’autoassolvimento politico di una classe dirigente – che in passato si è votata leggine di aggiustamento ad hoc – che dobbiamo liberarci. Potevamo mai credere al fiume di comunicati di regime che ci arrivavano su questo o quel bando, sui copes, sulle borse lavoro, eccetera eccetera, quando sapevano — loro sapevano benissimo — quello che stava succedendo? Il governatore De Filippo, dopo la prima reazione a caldo all’indomani del voto nazionale, ha frenato il meccanismo di rinnovamento e quindi frenato l’azione di governo, impedito dalle mediazioni impossibili con gli alleati e dallo sconsolante timore che il pm potesse distruggere i piani che stava creando. Così è stato per Mollica, ad esempio, assessore in pectore proprio alla vigilia della condanna. Era prevedibile, ma ci voleva un giudice per comporre la nuova Giunta. Che nasce, ovviamente, decapitata e azzoppata in partenza. La lucidità di un capo, nei momenti della tragedia, è quella di dare una rotta. Il movimentismo a vuoto della catastrofe annunciata è tutto a carico di una comunità incolpevole. Un’incredibile casualità sta incrociando i destini dell’Italia con quelli della Basilicata. E se non c’è un Napolitano a dirci, in lacrime, che l’Italia non merita quello che è accaduto, a chi affidiamo il compito di salvarci dal terribile spettacolo del suicidio collettivo della politica? La giunta appena nominata evidentemente è solo una zattera istituzionale per evitare un palazzo alla Schettino. Ci attendono giorni di indispensabile equilibrio. Ieri, dopo l’incarico dato a Letta, il presidente Napolitano ha chiesto anche agli organi di informazione di fare la loro parte. Era l’ultimo tassello che mancava al marasma di questo periodo. Nel discorso dell’altro giorno alle Camere, come ha scritto Luca Sofri, sembrava che il presidente potesse dire da un momento all’altro: e adesso parlo di voi, anche di voi giornalisti. Fare la propria parte, per quel che mi riguarda, significa non stare dalla parte di nessuno. Ieri la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha anche annunciato un’azione a difesa dei giornalisti per le troppe querele della casta. Spesso un braccio di forza. Il preteso era l’azione risarcitoria chiesta dall’Eni alla Gabanelli. Nel giorno dell’addio di De Filipppo, mi fa piacere salutarlo comunicandogli che il suo direttore generale all’Ambiente, Donato Viggiano, ha chiesto a me e a questo giornale quasi mezzo milione di euro. Per quel conflitto di interessi che abbiamo raccontato il governatore ha inteso lasciarlo comunque al suo posto. Decisione rispettabile. Grave l’avallo politico indiretto all’azione giudiziaria. Anche di queste pratiche dovremmo liberarci, in questo 25 aprile. L’orgoglio delle buone azioni e della trasparenza non sia affermato con i tribunali, così come i tribunali non impongano la direzione alla politica. Oggi, da qualunque parti lo si guardi, non è un bel giorno per la Basilicata. 

DA cosa dobbiamo liberarci,  oggi 25 aprile, in Basilicata? Da condanne frettolose e moralismi spiccioli, sicuramente. Ma anche dalla sbracatura politica di un sistema rimasto immobile nell’attesa dell’ascia giudiziaria. Quello che le cronache raccontano oggi è imbarazzante. Ecco, forse la parola giusta è questa. Non c’è un Batman lucano, ma un clima di illegalità diffusa, un soporifero e scontato utilizzo della propria funzione per spesucce personali e di famiglia. I giudici rimproverano due volte: per gli aspetti penali che ipotizzano e –appunto — per quelle piccole ruberie imbarazzanti per il livello non trascurabile degli stipendi di chi ora è finito nella melma. Ieri, parlando con un collega di Roma che oggi scrive un lungo pezzo sulle miserie lucane, mi restituiva il disturbo per il livello di bassezza morale di questa politica. Da questa bassezza politica il presidente della Regione Vito De Filippo si tiene alla larga dimettendosi. Lascia per non essere stritolato da una situazione che sarebbe rimasta bloccata anche se avesse nominato sei premi nobel nella nuova Giunta. Un ciclo è finito

In verità l’inchiesta sulle larghe spese non è ancora finita. Ma si tratta di fatti, come i due tre mila euro di francobolli spesi da De Filippo all’edicola di Via Marconi o le fatture dei giornali di Santochirico, che forse si smonteranno facilmente. Non è un caso che il pm abbia differenziato i tempi dell’inchiesta che comunque è un unico filone. Il governatore lascia perché aveva già mentalmente mollato da tempo. Oggi è il vero 25 aprile di liberazione per un uomo politico che ha dovuto subire l’agonia lenta del suo governo. La tempesta perfetta ci restituisce il clima di quello che abbiamo raccontato in questi giorni sulla giunta regionale bloccata. E spiega quell’eccitato e nevrotico fare comunicato a fiume. La frenesia dell’operare, in una regione in cui tutti sanno tutto, era lo scacciapensieri di un’angoscioso tormento. Le manette stavano per arrivare, la croce del peccato già issata da parecchio, Basilicata ultima di un Paese di imperdonabili che ha utilizzato le risorse del nostro sviluppo per fare feste, cambiarsi il parquet, portarsi le amiche in albergo, fare le feste ai figli mentre registro che molti genitori oggi non mandano i figli ai compleanni degli amichetti perché non possono permettersi neppure un regalo di cinque euro. Quelle vivident comprate dalla Mastrosimone o quei pranzi mai fatti al ristorante Fuori le mura di Potenza, falsamente fatturati solo per intascare soldi, sono davvero insopportabili. O dobbiamo giudicarli una leggerezza?

 Lo scrivo avendo più volte espresso un pessimo giudizio politico sull’assessore, maestra del cambio di partiti, diafana nell’azione di governo, esperta di banchetti di raccolta firme. Non è felice neppure ciò che i giudici scrivono dell’assessore Vincenzo Viti, ma temo stia pagando non solo per se stesso, il che non lo esonera dalle responsabilità (soprattutto quelle di un eventuale inquinamento probatorio) ma sicuramente restituisce meccanismi di deresponsabilizzazione secondo i quali c’è spesso un capro espiatorio predestinato. Un po’ come si fa in certi giornali, si sceglie un direttore responsabile di una certa età, tanto per scaricargli addosso le querele. Con l’arresto di Pagliuca, infine, oltre alle astuzie poco onorevoli e da cui gli auguro di difendersi, c’è la prova del grande inciucio politico-comportamentale di questa regione, inteso come un’unica linea d’ombra, quell’ inciucio che qualche giorno fa portò questo giornale a scrivere di una maledetta intesa sulla commissione Fenice. 

Detto questo e lasciando che accusa e difesa trovino l’incrocio del loro confronto, è dalla responsabilità dell’autoassolvimento politico di una classe dirigente – che in passato si è votata leggine di aggiustamento ad hoc – che dobbiamo liberarci. Potevamo mai credere al fiume di comunicati di regime che ci arrivavano su questo o quel bando, sui copes, sulle borse lavoro, eccetera eccetera, quando sapevano — loro sapevano benissimo — quello che stava succedendo? Il governatore De Filippo, dopo la prima reazione a caldo all’indomani del voto nazionale, ha frenato il meccanismo di rinnovamento e quindi frenato l’azione di governo, impedito dalle mediazioni impossibili con gli alleati e dallo sconsolante timore che il pm potesse distruggere i piani che stava creando. Così è stato per Mollica, ad esempio, assessore in pectore proprio alla vigilia della condanna. Era prevedibile, ma ci voleva un giudice per comporre la nuova Giunta. Che nasce, ovviamente, decapitata e azzoppata in partenza. 

La lucidità di un capo, nei momenti della tragedia, è quella di dare una rotta. Il movimentismo a vuoto della catastrofe annunciata è tutto a carico di una comunità incolpevole. Un’incredibile casualità sta incrociando i destini dell’Italia con quelli della Basilicata. E se non c’è un Napolitano a dirci, in lacrime, che l’Italia non merita quello che è accaduto, a chi affidiamo il compito di salvarci dal terribile spettacolo del suicidio collettivo della politica? La giunta appena nominata evidentemente è solo una zattera istituzionale per evitare un palazzo alla Schettino. Ci attendono giorni di indispensabile equilibrio. Ieri, dopo l’incarico dato a Letta, il presidente Napolitano ha chiesto anche agli organi di informazione di fare la loro parte. Era l’ultimo tassello che mancava al marasma di questo periodo. Nel discorso dell’altro giorno alle Camere, come ha scritto Luca Sofri, sembrava che il presidente potesse dire da un momento all’altro: e adesso parlo di voi, anche di voi giornalisti. Fare la propria parte, per quel che mi riguarda, significa non stare dalla parte di nessuno. Ieri la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha anche annunciato un’azione a difesa dei giornalisti per le troppe querele della casta. Spesso un braccio di forza. Il preteso era l’azione risarcitoria chiesta dall’Eni alla Gabanelli. Nel giorno dell’addio di De Filipppo, mi fa piacere salutarlo comunicandogli che il suo direttore generale all’Ambiente, Donato Viggiano, ha chiesto a me e a questo giornale quasi mezzo milione di euro. Per quel conflitto di interessi che abbiamo raccontato il governatore ha inteso lasciarlo comunque al suo posto. Decisione rispettabile. Grave l’avallo politico indiretto all’azione giudiziaria. Anche di queste pratiche dovremmo liberarci, in questo 25 aprile. L’orgoglio delle buone azioni e della trasparenza non sia affermato con i tribunali, così come i tribunali non impongano la direzione alla politica. Oggi, da qualunque parti lo si guardi, non è un bel giorno per la Basilicata. 

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