X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

POTENZA – Quand’era ancora poco più di un ragazzo c’è chi se lo ricorda seminare il terrore in giro per Potenza con un puma alla catena. Poi tanto per cambiare venne arrestato dalla polizia, e nel parcheggio della questura alcuni agenti avrebbero sentito i rumori che provenivano dalla sua auto, ma nessuno ha avuto il coraggio di tirare fuori la bestia dal bagagliaio. Così quando gli è stata riconsegnata ormai era già morta da un pezzo.

Deve aver temuto di fare la stessa fine l’ex pugile potentino Dorino Stefanutti, che ieri pomeriggio si è costituito in una zona di campagna attorno al capoluogo agli agenti della sezione anticrimine diretti dal vicequestore Carlo Pagano. A guidarli sul posto è stata una telefonata dopo che per cinque giorni il suo cellulare è risultato spento. Qualche ora prima, invece, nella redazione del Quotidiano era stata recapitata una lettera di quattro pagine in cui annunciava l’intenzione di affrontare le sue responsabilità per l’accaduto spiegando la sua versione dei fatti.

Stefanutti era ricercato da lunedì notte dopo che alcuni testimoni lo avevano indicato come l’assassino di Donato Abruzzese, l’imprenditore 44enne crivellato di colpi davanti casa sua, un appartamento al 12 di via Parigi. La moglie di Abruzzese, innanzitutto, ha detto di aver sentito il suo nome dopo che il marito aveva risposto al citofono, e si era infastidito per la sua presenza sotto casa. Poi ha aggiunto di averlo riconosciuto dalla finestra con una pistola in mano ma di non aver fatto in tempo per dare l’allarme. Mentre il figlio ha raccontato di aver visto la microcar di Stefanutti che si allontanava dopo gli spari. Davanti agli investigatori si è poi seduto anche un amico di Donato Abruzzese che ha raccontato di aver assistito a tutto in prima persona ed è considerato il vero superteste capace di inchiodare l’autore del delitto alle sue reali responsabilità.

Ieri sera interrogato fino a tarda sera dal pm Francesco Basentini della Direzione distrettuale antimafia di Potenza Stefanutti ha ammesso di aver sparato ma soltanto per legittima difesa dopo aver preso l’arma proprio al supertestimone dell’accusa contro di lui.

Qui però entrambe le loro versioni dei fatti contrasterebbero con alcune delle circostanze emerse durante gli accertamenti, come il fatto che vicino al corpo della vittima siano state trovate  tre le pistole, e che i bossoli seminati per terra, sulla strada e davanti al porticato della palazzina risultino esplosi da tre armi diverse. Possibile che l’assassino abbia usato due armi? Oppure che l’abbia fatto la vittima?

E’ infatti quasi del tutto assodato che non si è trattato di un’esecuzione ma di una discussione finita in un conflitto a fuoco in cui a sparare e ad essere colpiti sono stati almeno in due: Stefanutti e Abruzzese. C’è poi da capire quale sia stato il ruolo della terza persona presente sul posto. Semplice spettatore o altro, come sostiene lo stesso Stefanutti?

Nella lettera arrivata al Quotidiano ieri mattina (la data manoscritta è 29 aprile mentre il timbro del centro di smistamento di Bari del 2 maggio) l’ex pugile, considerato a lungo il braccio destro del boss Renato Martorano in carcere per usura ed estorsione con l’aggravante mafiosa, parla soltanto di due pistole e dice di aver preso quella con cui ha sparato ad Abruzzese dal suo amico (sempre il supertestimone dell’accusa) mentre era già sotto il fuoco ferito a una gamba. Spiega che il motivo della sua convocazione da parte della vittima – all’opposto della visita inattesa di cui parlano i familiari – sarebbe stato uno screzio nato dal rifiuto di fare da compare per il figlio di Abruzzese. Una sciocchezza, verrebbe da pensare, ma in certi ambienti no, e qui è difficile non cogliere una certa allusione. Altra questione che sa tanto di vecchi codici di malavita sarebbe stata quella su chi può offrire da bere e chi no in una tavolata di amici. Stefanutti avrebbe voluto farlo lui, ma a quanto pare domenica sera Abruzzese la pensava in maniera diversa, tant’è che diversi testimoni hanno raccontato del gelo che è sceso tra i due, fin quando l’imprenditore specializzato nella distribuzione di macchinette da videopoker non ha deciso di andarsene via.

Difficile pensare che Stefanutti sia andato sotto casa di Abruzzese con l’idea di ucciderlo, ma è altrettanto difficile pensare che sia stato Abruzzese a tendergli una trappola mortale da cui è scampato soltanto perché ha saputo anticipare le sue mosse. Certo è che tutto sarebbe avvenuto nel giro di pochi secondi, stando a quanto raccontano i testimoni, come se la vittima e il suo assassino si siano sparati a vista o giù di lì.

Interrogato anche a proposito di chi gli ha offerto riparo per 5 giorni permettendogli di eludere le ricerche degli agenti della mobile Stefanutti ha opposto l’unico no alle richieste degli inquirenti sostenendo di non voler danneggiare delle persone innocenti. Per lui nella serata di ieri è stato disposto un fermo di indiziato di delitto con l’accusa di omicidio con l’aggravante mafiosa. Le indagini proseguono per appurare se oltre al movente dichiarato tra i due ci fossero rapporti economici che negli ultimi tempi potrebbero essersi deteriorati.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE