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POTENZA – Ha danneggiato l’immagine della Regione Basilicata, assieme agli altri 4 dipendenti dell’ufficio di rappresentanza nella capitale scoperti cinque anni fa dagli agenti della Mobile di Potenza a timbrarsi i cartellini mentre c’era chi andava dal barbiere chi faceva la spesa e così via. Per non parlare di quando si sedevano dietro la scrivania e partivano le telefonate ai parenti sudamericani, oppure ai loro numeri di cellulare: lasciavano la cornetta sulla scrivania mentre il credito si ricaricava. 
Lo ha stabilito la Corte dei conti di Potenza condannando Mario Araneo, segretario del presidente dimissionario della giunta regionale De Filippo, Maddalena Ferraiuolo, Pasqualina Gravela, Nicola Padula e Rosario Golia a risarcire le casse di via Verrastro una somma  – invero simbolica – di 1.685 euro complessivi. 
Per loro il 12 luglio di 3 anni fa si era chiuso il processo davanti al Tribunale di Potenza per le accuse di truffa e peculato con una sentenza di patteggiamento poi diventata definitiva. Quindi si era fatto avanti il procuratore regionale contabile Michele Oricchio chiedendo una condanna pari a 10mila euro di risarcimento. Ma il collegio presieduto da Vincenzo Pergola ha escluso la possibilità di applicare il meccanismo di sanzioni previsto per gli assenteisti dalla cosiddetta “legge Brunetta” anche al caso in questione, dato che i fatti risalgono a prima della sua approvazione. Altra storia però l’uso privato dei telefoni della Regione e lo scandalo esploso quando si è saputo dell’inchiesta, nata da una costola di quella sulle corruttele all’ombra delle trivelle nella Valle del Sauro. 
Mario Araneo, «segretario, addetto di segreteria, impiegato amministrativo ed autista» di De Filippo, è stato intercettato mentre chiamava dai telefoni dell’ufficio di rappresentanza della Regione al centralino di “Affari tuoi”, la trasmissione di Rai Uno col gioco dei pacchi, proponendosi come concorrente. E ancora mentre ordinava prodotti afrodisiaci, e si rivolgeva a una veggente per esplorare i favore degli astri.  
«Con  riferimento alle predette fattispecie delittuose – scrivono i giudici della Corte dei conti – ben può affermarsi il danno all’immagine patito dall’amministrazione regionale (…) A fronte della intervenuta lesione dell’immagine pubblica, nella coscienza dei soggetti “amministrati” vengono ad essere incrinati quei maturali sentimenti di affidamento e di appartenenza alle istituzioni». Insomma quasi una condanna per placare l’antipolitica. Se soltanto 1.600 euro potessero bastare.

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