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Titolo ad una sola riga
Catenaccio light per primo piano da non modificare – CATEGORICO
di SARA LORUSSO
Roberto Speranza viene da una scuola politica di quelle riunioni, poche parole e serrare i ranghi. Sui social network vive a bassa frequenza. Il suo account Twitter è fermo da un paio di giorni, lo era stato a lungo precedentemente. La sua pagina Facebook non è in continuo movimento. Ma non è certo questo il motivo per cui spesso gli è stato contestato di non sbilanciarsi, di non essere esplicito nelle risposte ai giornalisti, di non essere comunicativo, né moderno. Lo stile di Speranza è così, politico dell’interno del partito, collante nel gruppo, toni bassi, nessuna rivoluzione. Da sempre, con o senza rete. 
Da qualche tempo va avanti un dibattito su quanto i social network, in particolare Twitter, influenzino la politica italiana. E, contemporaneamente, su quanto la politica possa far ricorso ai social network per costruire consenso. 
Dopo il risultato delle politiche di febbraio che ha colto molti di sorpresa, si è sentito dire che la forza del Movimento 5 Stelle fosse stata nella visibilità e nella mobilitazione costruita online. Salvo poi ricordarsi che in realtà Beppe Grillo ha riempito piazze reali, mentre i militanti del movimento costruivano la campagna elettorale con un percorso di condivisione dal basso, fatto anche di pranzi, comizi, autostop. 
L’elezione tormentata del presidente della Repubblica ha poi riacceso il dibattito. Ma davvero il dibattito in rete, le proteste sui social network, le conversazioni online possono influenzare le decisioni della politica abituata a ragionare nelle stanze dei palazzi? In realtà la presenza degli italiani su Twitter non è numericamente rilevante, non lo è per essere massa critica. E gli esiti di molte recenti scelte della politica nazionale riportano a decisioni del palazzo, non certo agli scenari indicati dal dibattito sui socal network. 
Allora, piuttosto, quello che accade è che viviamo costantemente connessi: capita anche ai politici, ai parlamentari, agli amministratori. Ciascuno di loro nelle aule istituzionali consulta l’iPad o lo smartphone, twitta, dà uno sguardo alla timeline di Facebook, ai blog che discutono di attualità. Le reazioni esterne, i commenti della gente, le conversazioni più o meno critiche finiscono per arrivare diritte ai destinatari che, inevitabilmente, le osservano. 
Non è certo la rete a influenzare la politica. Ma una parte della politica ha smesso di ignorare canali di feedback degli elettori immediati come quelli del web.
Abitare questi canali, poi, è altra cosa. Gli appuntamenti elettorali sono lo spazio in cui è facile osservare le pratiche di utilizzo delle piattaforme sociali. La maggior parte degli account di nuova apertura muore a urne chiuse, soprattutto se il candidato non è stato eletto. Twitter non sposta voti. E’ solo uno dei canali – uno strumento molto forte – con cui costruire un pezzo del racconto che il politico può fare di sè, della propria attività, di quello che accade attorno. 
Alcuni politici, anche tra i lucani, hanno provato a costruire una conversazione costante nello spazio digitale. Ricorrono ai social network per mantenere una comunicazione aperta all’esterno. Anche con i giornalisti, spesso avvisati di un tweet dallo stesso autore che ha capito il meccanismo. A volte, invece, con i cittadini. Sempre più spesso nel partito. 
Così capita che anche sulle prossime candidature alle regionali lucane ci si confronti sulla timeline di Twitter. Il dibattito nato domenica tra il presidente della provincia di Potenza Lacorazza e il senatore Salvatore Margiotta sulla disponibilità di quest’ultimo alla corsa non è una novità. Entrambi attivi in rete, hanno modalità differenti dell’abitare quello spazio. Il senatore @s_margiotta ha scoperto da tempo le potenzialità del canale, che usa per raccontare molto della propria attività parlamentare, non disdegnando piccole incursioni personali (mai troppo), dai toni sportivi o saluti locali. Il grosso resta il resoconto, magari in diretta attraverso gli hashtag di uso comune (#opencamera o #opensenato), della vita a Palazzo Madama, del dibattito politico in Basilicata. Anche quando è spiacevole. @pierolacorazza, invece, usa spesso Twitter per divulgare, linkando alla comunicazione istituzionale, l’attività dell’ente che presiede. Tra gli attivi, i due parlamentari del M5S, @mirellaliuzzi e @vitopetrocelli che raccontano con ironia anche la quotidianità tipica del transatlantico. Anche questo è uno sguardo su quello che accade. 
Ciascuno sceglie regole, comportamento, come e a chi replicare, cosa divulgare. Linguaggio più o meno formale, foto, dirette, polemiche, litigate. Oppure no. E’ un pezzo di quotidianità politica da condividere. Solo un pezzetto. 

Roberto Speranza viene da una scuola politica di quelle riunioni, poche parole e serrare i ranghi. Sui social network vive a bassa frequenza. Il suo account Twitter è fermo da un paio di giorni, lo era stato a lungo precedentemente. La sua pagina Facebook non è in continuo movimento. Ma non è certo questo il motivo per cui spesso gli è stato contestato di non sbilanciarsi, di non essere esplicito nelle risposte ai giornalisti, di non essere comunicativo, né moderno. 

Lo stile di Speranza è così, politico dell’interno del partito, collante nel gruppo, toni bassi, nessuna rivoluzione. Da sempre, con o senza rete. Da qualche tempo va avanti un dibattito su quanto i social network, in particolare Twitter, influenzino la politica italiana. E, contemporaneamente, su quanto la politica possa far ricorso ai social network per costruire consenso. 

Dopo il risultato delle politiche di febbraio che ha colto molti di sorpresa, si è sentito dire che la forza del Movimento 5 Stelle fosse stata nella visibilità e nella mobilitazione costruita online. Salvo poi ricordarsi che in realtà Beppe Grillo ha riempito piazze reali, mentre i militanti del movimento costruivano la campagna elettorale con un percorso di condivisione dal basso, fatto anche di pranzi, comizi, autostop. 

L’elezione tormentata del presidente della Repubblica ha poi riacceso il dibattito. Ma davvero il dibattito in rete, le proteste sui social network, le conversazioni online possono influenzare le decisioni della politica abituata a ragionare nelle stanze dei palazzi? In realtà la presenza degli italiani su Twitter non è numericamente rilevante, non lo è per essere massa critica. E gli esiti di molte recenti scelte della politica nazionale riportano a decisioni del palazzo, non certo agli scenari indicati dal dibattito sui socal network. 

Allora, piuttosto, quello che accade è che viviamo costantemente connessi: capita anche ai politici, ai parlamentari, agli amministratori. Ciascuno di loro nelle aule istituzionali consulta l’iPad o lo smartphone, twitta, dà uno sguardo alla timeline di Facebook, ai blog che discutono di attualità. Le reazioni esterne, i commenti della gente, le conversazioni più o meno critiche finiscono per arrivare diritte ai destinatari che, inevitabilmente, le osservano. Non è certo la rete a influenzare la politica. Ma una parte della politica ha smesso di ignorare canali di feedback degli elettori immediati come quelli del web.

Abitare questi canali, poi, è altra cosa. Gli appuntamenti elettorali sono lo spazio in cui è facile osservare le pratiche di utilizzo delle piattaforme sociali. La maggior parte degli account di nuova apertura muore a urne chiuse, soprattutto se il candidato non è stato eletto. Twitter non sposta voti. E’ solo uno dei canali – uno strumento molto forte – con cui costruire un pezzo del racconto che il politico può fare di sè, della propria attività, di quello che accade attorno. 

Alcuni politici, anche tra i lucani, hanno provato a costruire una conversazione costante nello spazio digitale. Ricorrono ai social network per mantenere una comunicazione aperta all’esterno. Anche con i giornalisti, spesso avvisati di un tweet dallo stesso autore che ha capito il meccanismo. A volte, invece, con i cittadini. Sempre più spesso nel partito. 

Così capita che anche sulle prossime candidature alle regionali lucane ci si confronti sulla timeline di Twitter. Il dibattito nato domenica tra il presidente della provincia di Potenza Lacorazza e il senatore Salvatore Margiotta sulla disponibilità di quest’ultimo alla corsa non è una novità. Entrambi attivi in rete, hanno modalità differenti dell’abitare quello spazio. 

Il senatore @s_margiotta ha scoperto da tempo le potenzialità del canale, che usa per raccontare molto della propria attività parlamentare, non disdegnando piccole incursioni personali (mai troppo), dai toni sportivi o saluti locali. Il grosso resta il resoconto, magari in diretta attraverso gli hashtag di uso comune (#opencamera o #opensenato), della vita a Palazzo Madama, del dibattito politico in Basilicata. Anche quando è spiacevole. 

@pierolacorazza, invece, usa spesso Twitter per divulgare, linkando alla comunicazione istituzionale, l’attività dell’ente che presiede. Tra gli attivi, i due parlamentari del M5S, @mirellaliuzzi e @vitopetrocelli che raccontano con ironia anche la quotidianità tipica del transatlantico. Anche questo è uno sguardo su quello che accade. Ciascuno sceglie regole, comportamento, come e a chi replicare, cosa divulgare. Linguaggio più o meno formale, foto, dirette, polemiche, litigate. Oppure no. E’ un pezzo di quotidianità politica da condividere. Solo un pezzetto. 

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