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Titolo ad una sola riga
Catenaccio light per primo piano da non modificare – CATEGORICO
di LEO AMATO
POTENZA – Restituendo i rimborsi avrebbero riconosciuto il debito e questo ridurrebbe il rischio che in futuro ne combinino delle altre. Così il gip ha revocato il “bando” dal capoluogo che lui stesso aveva firmato. Se poi il Riesame si ripeterà, accogliendo l’appello – annunciato – dei pm, quando tornerà esecutivo è probabile che ci saranno già state le nuove elezioni.  
Alla fine c’è voluto qualche giorno in più del previsto ma il “Lodo Mancusi” è passato. Ieri mattina infatti sono tornati in libertà i sei consiglieri regionali ancora colpiti dal divieto di dimora a Potenza. Si tratta di Antonio Autilio (Idv), Paolo Castelluccio (Pdl), Nicola Pagliuca (Pdl), Alessandro Singetta (Misto), Mario Venezia (FdI) e Raffaele Vita (Psi). Per loro, come per altri 34 tra consiglieri ed ex consiglieri, le accuse sono di falso e peculato per essersi appropriati dei rimborsi spese previsti per le attività dei gruppi consiliari e «l’esercizio del mandato senza vincoli di mandato». In totale di parla qualche centinaio di migliaia di euro su quasi quattro milioni elargiti dal Consiglio regionale tra il 2010 e il 2011 che sono gli anni presi in considerazioni dagli investigatori di carabinieri, finanza e polizia. 
L’inchiesta era partita a ottobre dell’anno scorso sulla falsa riga degli scandali esplosi nel Lazio, in Lombardia e in Campania col sequestro di scontrini, fatture e documentazione giustificativa dei rimborsi negli uffici di via Verrastro. Quindi 24 aprile è poi scattato il blitz con gli arresti domiciliari per 3 persone, gli ex assessori dimissionari Vincenzo Viti (Pd) e Rosa Mastrosimone (Idv) e l’allora capogruppo Pdl Nicola Pagliuca e il divieto di dimora nel capoluogo per 6, quelli sopra più Mariano Pici (Pdl), Agatino Mancusi (Udc) e l’ex Vincenzo Ruggiero (La destra). Più il sequestro delle somme contestate sui rispettivi conti corrente, stessa misura adottata anche nei confronti di un altro consigliere, Franco Mollica (Udc), e di 4 ex, Antonio Flovilla (Udc), Innocenzo Loguercio (Psi), Antonio Tisci (Pdl) e Antonio Potenza (Pu).  
Durante gli interrogatori di garanzia il gip aveva preso atto delle dimissioni dell’assessore esterno Mastrosimone e dell’assessore consigliere Viti rimettendoli in libertà. Mentre ha convertito gli arresti in un più blando divieto di dimora per l’ex capogruppo Pagliuca accusato in massima parte proprio per l’utilizzo dei fondi degli azzurri nel parlamentino lucano. Per il solo Pici è tornato sui suoi passi revocando l’ordinanza per essersi ricreduto sui gravi indizi di colpevolezza, alla luce della documentazione prodotta per giustificare la spesa dichiarata per il noleggio di attrezzature audio video (oltre 12mila euro) con eventi e manifestazioni politiche: foto, manifestini e quant’altro. Poi è arrivato il turno di Mancusi, che prima ancora di iniziare a rispondere alle sue domande ha depositato la prova dell’avvenuta restituzione nelle casse del Consiglio regionale delle somme “contestate”: l’equivalente di quanto sequestrato sul suo corrente, e forse pure qualcosa in più. 
In conclusione per tutti gli altri, che hanno provato a difendersi adducendo varie ragioni, l’ordinanza sarebbe stata confermata. Mentre la «resipiscenza» mostrata da Mancusi sarebbe stata premiata, nonostante il parere sfavorevole della Procura, aprendo la strada a una serie di istanze fac-simile avanzate nei giorni successivi. A maggior ragione dopo la decisione del Tribunale del riesame, che venerdì scorso ha respinto in blocco i ricorsi presentati dai legali dei consiglieri “banditi”. Anche di uno come Vita, che di fronte al collegio presieduto da Gerardina Romaniello aveva portato un assegno intestato al Consiglio regionale per l’esatto ammontare dei rimborsi in discussione. 
Una divergenza sul concetto di «resipiscenza» e sul suo valore? O piuttosto sull’immagine di una “giustizia per ricchi” che fa un passo indietro di fronte a chi può permettersi di versare una “cauzione” come si usa nei paesi di diritto anglo-sassone? La prima di sicuro, tant’è che soltanto giovedì i pm Francesco Basentini e Sergio Marotta, con l’avallo del procuratore Laura Triassi, hanno proposto appello contro l’ordinanza di revoca del “bando” nei confronti di Mancusi (il cosiddetto “Lodo”). E c’è da aspettarsi che facciano altrettanto anche per i sei liberati ieri. 
Il destino del “Lodo” passa dunque nelle mani del Riesame, che pure ha già espresso un orientamento di senso contrario nel caso di Vita. Ma anche se dovesse confermarsi la sua decisione non sarà esecutiva prima di un’eventuale ricorso in Cassazione. Tradotto in tempi italici: mesi, vari mesi. Mentre la campagna elettorale è alle porte e per la fine di ottobre si saprà come andrà a finire: chi sarà riconfermato, e chi no. Chiaro che per questi ultimi una misura cautelare non avrebbe più senso. «Resipiscenza» o meno.
l.amato@luedi.it
 

POTENZA – Restituendo i rimborsi avrebbero riconosciuto il debito e questo ridurrebbe il rischio che in futuro ne combinino delle altre. Così il gip ha revocato il “bando” dal capoluogo che lui stesso aveva firmato. Se poi il Riesame si ripeterà, accogliendo l’appello – annunciato – dei pm, quando tornerà esecutivo è probabile che ci saranno già state le nuove elezioni.  Alla fine c’è voluto qualche giorno in più del previsto ma il “Lodo Mancusi” è passato. Ieri mattina infatti sono tornati in libertà i sei consiglieri regionali ancora colpiti dal divieto di dimora a Potenza. Si tratta di Antonio Autilio (Idv), Paolo Castelluccio (Pdl), Nicola Pagliuca (Pdl), Alessandro Singetta (Misto), Mario Venezia (FdI) e Raffaele Vita (Psi). Per loro, come per altri 34 tra consiglieri ed ex consiglieri, le accuse sono di falso e peculato per essersi appropriati dei rimborsi spese previsti per le attività dei gruppi consiliari e «l’esercizio del mandato senza vincoli di mandato». In totale si parla qualche centinaio di migliaia di euro su quasi quattro milioni elargiti dal Consiglio regionale tra il 2010 e il 2011 che sono gli anni presi in considerazioni dagli investigatori di carabinieri, finanza e polizia. L’inchiesta era partita a ottobre dell’anno scorso sulla falsa riga degli scandali esplosi nel Lazio, in Lombardia e in Campania col sequestro di scontrini, fatture e documentazione giustificativa dei rimborsi negli uffici di via Verrastro. Quindi 24 aprile è poi scattato il blitz con gli arresti domiciliari per 3 persone, gli ex assessori dimissionari Vincenzo Viti (Pd) e Rosa Mastrosimone (Idv) e l’allora capogruppo Pdl Nicola Pagliuca e il divieto di dimora nel capoluogo per 6, quelli sopra più Mariano Pici (Pdl), Agatino Mancusi (Udc) e l’ex Vincenzo Ruggiero (La destra). Più il sequestro delle somme contestate sui rispettivi conti corrente, stessa misura adottata anche nei confronti di un altro consigliere, Franco Mollica (Udc), e di 4 ex, Antonio Flovilla (Udc), Innocenzo Loguercio (Psi), Antonio Tisci (Pdl) e Antonio Potenza (Pu).  

 

Durante gli interrogatori di garanzia il gip aveva preso atto delle dimissioni dell’assessore esterno Mastrosimone e dell’assessore consigliere Viti rimettendoli in libertà. Mentre ha convertito gli arresti in un più blando divieto di dimora per l’ex capogruppo Pagliuca accusato in massima parte proprio per l’utilizzo dei fondi degli azzurri nel parlamentino lucano. Per il solo Pici è tornato sui suoi passi revocando l’ordinanza per essersi ricreduto sui gravi indizi di colpevolezza, alla luce della documentazione prodotta per giustificare la spesa dichiarata per il noleggio di attrezzature audio video (oltre 12mila euro) con eventi e manifestazioni politiche: foto, manifestini e quant’altro. Poi è arrivato il turno di Mancusi, che prima ancora di iniziare a rispondere alle sue domande ha depositato la prova dell’avvenuta restituzione nelle casse del Consiglio regionale delle somme “contestate”: l’equivalente di quanto sequestrato sul suo corrente, e forse pure qualcosa in più. In conclusione per tutti gli altri, che hanno provato a difendersi adducendo varie ragioni, l’ordinanza sarebbe stata confermata. Mentre la «resipiscenza» mostrata da Mancusi sarebbe stata premiata, nonostante il parere sfavorevole della Procura, aprendo la strada a una serie di istanze fac-simile avanzate nei giorni successivi. A maggior ragione dopo la decisione del Tribunale del riesame, che venerdì scorso ha respinto in blocco i ricorsi presentati dai legali dei consiglieri “banditi”. Anche di uno come Vita, che di fronte al collegio presieduto da Gerardina Romaniello aveva portato un assegno intestato al Consiglio regionale per l’esatto ammontare dei rimborsi in discussione. Una divergenza sul concetto di «resipiscenza» e sul suo valore? O piuttosto sull’immagine di una “giustizia per ricchi” che fa un passo indietro di fronte a chi può permettersi di versare una “cauzione” come si usa nei paesi di diritto anglo-sassone? La prima di sicuro, tant’è che soltanto giovedì i pm Francesco Basentini e Sergio Marotta, con l’avallo del procuratore Laura Triassi, hanno proposto appello contro l’ordinanza di revoca del “bando” nei confronti di Mancusi (il cosiddetto “Lodo”). 

E c’è da aspettarsi che facciano altrettanto anche per i sei liberati ieri. Il destino del “Lodo” passa dunque nelle mani del Riesame, che pure ha già espresso un orientamento di senso contrario nel caso di Vita. Ma anche se dovesse confermarsi la sua decisione non sarà esecutiva prima di un’eventuale ricorso in Cassazione. Tradotto in tempi italici: mesi, vari mesi. Mentre la campagna elettorale è alle porte e per la fine di ottobre si saprà come andrà a finire: chi sarà riconfermato, e chi no. Chiaro che per questi ultimi una misura cautelare non avrebbe più senso. «Resipiscenza» o meno. 

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