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POTENZA – I rendiconti e la documentazione giustificativa dei rimborsi dei consiglieri regionali sono atti pubblici e non contengono dati sensibili. Ma anche ammesso che si tratti di dati «semisensibili» il diritto di cronaca sancito dalla Costituzione prevale su quello alla loro riservatezza.

Lo ha stabilito la Commissione per l’accesso agli atti amministrativi insediata negli uffici della presidenza  del Consiglio dei ministri nel parere indirizzato alla direzione generale del parlamentino lucano. Al centro una serie di obiezioni che i vertici dell’assise di via Verrastro avevano sollevato contro la richiesta di accesso agli atti avanzata lo scorso 26 settembre dal Quotidiano della Basilicata. Oggetto della stessa erano: «atti, rendiconti e documentazione giustificativa del rimborso spese di rappresentanza e segreteria» per consiglieri e assessori esterni della giunta. In pratica lo stesso materiale che due settimane dopo finanza e carabinieri su delega della procura della Repubblica di Potenza avrebbero provveduto a sequestrare, avviando l’inchiesta per cui soltanto martedì scorso sono stati spiccati avvisi di garanzia per 36 di loro, accusati di falso e peculato.

La data di arrivo e di protocollo del Consiglio regionale è del 23 aprile, meno di 24 ore prima dell’esecuzione dell’ordinanza di misure cautelari del gip Luigi Spina che ha portato ai domiciliari due assessori in carica della vecchia giunta, Vincenzo Viti (Pd) e Rosa Mastrosimone (Idv) e l’ex capogruppo dell’opposizione Nicola Pagliuca (Pdl). Con loro altri 8 sono stati sottoposti a divieto di dimora nel capoluogo, mentre per 5 sono scattate solo misure patrimoniali col sequestro delle somme contestate sui rispettivi conti corrente. Al momento queste ultime sono le uniche rimaste ancora in piedi, dopo la revoca degli arresti per i primi due – dimissionari -, e del “bando” per tutti gli altri che hanno restituito nelle casse della Regione l’ammontare del presunto maltolto.

Ad oggi comunque non è stata ancora effettuata nessuna comunicazione in proposito al Quotidiano dopo quella con cui veniva messo al corrente del parere richiesto alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi lo scorso 11 ottobre. Meno di 24 ore prima del blitz degli investigatori a caccia di scontrini e fatture nell’archivio dell’Ufficio di presidenza.

La nota sottoscritta dal presidente della Commissione ripercorre l’inchiesta giornalistica sulla gestione del rimborso spese «per l’esercizio del mandato senza vincolo di mandato» incluso il diniego opposto alla richiesta di accesso agli atti a tutela della “privacy” dei consiglieri, e la richiesta di “nulla osta” all’ostensione della propria documentazione inoltrata a tutti e 33 i membri del parlamentino più gli assessori esterni. In 14 avrebbero risposto di sì nei giorni successivi accettando la pubblicazione della loro contabilità: Alessandro Singetta (Misto), Giannino Romaniello (Sel), Ernesto Navazio (Misto), Enrico Mazzeo (Misto), Nicola Benedetto (Idv), Erminio Restaino (Pd), Vincenzo Folino (Pd), Vito De Filippo (Pd), Attilio Martorano (esterno), Giuseppe Dalessandro (Pd), Pasquale Robortella (Pd), Roberto Falotico (Misto), Rocco Vita (Psi) e Vilma Mazzocco (Cd). Tutti gli altri invece si sarebbero defilati: chi dicendo di sì e poi tornando sui suoi passi, chi cascando dalle nuvole, chi ponendo delle condizioni, chi ubbidendo all’orientamento del gruppo di appartenenza, e chi affermando un no convinto. In breve: Vincenzo Viti (Pd), Luca Braia (Pd), Vincenzo Santochirico (Pd), Marcello Pittella (Pd), Gennaro Straziuso (Pd), Gianni Rosa (Pdl), Michele Napoli (Pdl), Nicola Pagliuca (Pdl), Mario Venezia (Pdl), Luigi Scaglione (Pdl), Franco Mattina (Pdl), Paolo Castelluccio (Pdl), Mariano Pici (Pdl), Rosa Mastrosimone (Idv), Antonio Autilio (Idv), Franco Mollica (Udc) e Agatino Mancusi (Udc). Giusto un dato statistico: dei 10 consiglieri in carica raggiunti dall’ordinanza del gip Luigi Spina sono uno aveva prestato il suo consenso alla richiesta di nulla osta. Casualità?

«Il diritto di accesso si presenta come strumentale rispetto alla libertà d’informazione, costituzionalmente riconosciuta agli organi di stampa, con la conseguenza che occorre riconoscere alla testata giornalistica una posizione qualificata e differenziata alla conoscenza degli atti che possano interessare i propri lettori». Scrive la commissione, che poi così conclude: «Le disposizioni relative al consenso dell’interessato o all’autorizzazione del Garante (della privacy, ndr) non si applicano quando il trattamento dei dati sensibili è effettuato nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità». Con buona pace di chi avrebbe preferito tenere tutto ben nascosto.

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