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QUEI PROVVEDIMENTI emessi dal gip di Potenza non andavano revocati, lodo Mancusi o meno. Nelle motivazioni, i giudici del Riesame Gerardina Romaniello, Natalia Catena e Angela Matella chiariscono ogni punto. Le strategie di difesa di Rocco Vita, Alessandro Singetta, Vincenzo Ruggiero, Paolo Castelluccio, Antonio Autilio, Antonio Tisci e Mario Venezia non potevano giustificare la revoca dei sequestri delle somme e dei divieti di dimora. Una «mera illazione, un tentativo maldestro per sottrarsi alle proprie responsabilità» scrivono i giudici in merito alla difesa di Singetta. A modificare quelle ricevute, gonfiando gli importi, secondo la difesa sarebbero state altre persone. Ma l’affermazione che ai giudici non appare «neppure verosimile». Chi altro, oltre Singetta, avrebbe avuto interesse nel modificare quelle ricevute? Una domanda che, implicitamente, ricorre spesso. Stesso vale per i 200 euro spesi il giorno del compleanno della figlia in un ristorante di Potenza. I difensori insistono sull’incontro politico, i giudici invece no. Quella cena «deve essere ritenuta di natura privata» anche perché manca un collegamento con un eventuale evento politico. Di presentato a rimborso, in relazione a quella cena, c’è soltanto una ricevuta, nulla più. Stesso si dovrebbe dire dei 66 coperti con 9 menù per bambini. Più che un evento politico era una escursione tra amici. Troppe persone per essere un evento politico, senza considerare le dichiarazioni del proprietario del ristorante. Andando oltre spuntano le spese da 95 e 980 in un ristorante di Possidente. Queste, secondo la difesa, sono cene fatte in due occasioni. Eppure Singetta quel giorno aveva dichiarato di trovarsi a San Fele. Quindi, occasioni o meno, entrambe non sono comunque ammissibili. E poi il parquet nell’ufficio. Quelle riparazioni sono state fatte realmente, ma non soltanto in quella che doveva essere la segreteria politica di Singetta, ma anche a casa sua. C’è poi la collaborazione di Colangelo, l’operaio che avrebbe effettuato le riparazioni. I giudici in questo caso si affidano anche alle sue dichiarazioni. Nello specifico quello che interessa è l’ammissione di Colangelo sul non aver mai effettuato alcuna collaborazione occasionale e di aver firmato su richiesta di Singetta due attestazioni per due pagamenti da 1650 euro, ovvero il doppio di quanto pagato realmente per i lavori effettuati. Ma il Riesame fa notare un altro fatto, lo studio di Singetta in realtà era composto da «locali semiviuoti, minimamente arredati con sedie, scrivania e manifesti dell’indagato». Stesso vale per i viaggi a Roma con Colangelo. L’importo pattuito era di 100 euro al giorno. Per i difensori di Singetta le dichiarazioni dell’autista Felice Silvano sarebbero parzialmente infedeli, perché la somma consegnata sarebbe concordata tra Singetta e l’autista. L’incongruenza sta nel fatto che come autista Silvano ha ammesso che le somme ricevute non superavano mai i 2mila 800 euro, e senza mai un extra. Per i giudici non è fattibile neanche la richiesta di sostituzione del divieto di dimora con il semplice divieto d’accesso agli uffici regionali, perché una misura coercitiva così tronca non è neanche prevista dal codice penale. La difesa di Tisci parte, invece, da un altro assioma. Nessuno avrebbe potuto sapere con certezza se il consigliere non fosse agli incontri politici romani svolti in diversi ministeri. I giudici, invece, la pensano diversamente e scrivono che «le indagini, scrupolosamente e diligentemente effettuate dagli organi di polizia giudiziaria, escludono la presenza di Tisci nei luoghi sopra indicati». Insomma, c’è chi ha controllato le presenze a quegli incontri. Sul pagamento del viaggio e del pernottamento per lo scrittore Marcello Veneziani, in occasione della presentazione di un libro il Riesame è chiaro: Tisci partecipò come presidente dei “Circoli Nuova Italia” della Basilicata. Per la difesa il circolo non è una corrente politica, per il Riesame, visto il sito web dell’associazione, è tutto il contrario. Come tali i contributi non potevano essere utilizzati, in quanto si trattava di un movimento politico e la legge regionale lo vieta espressamente. C’è poi il viaggio presunto istituzionale in Regione Liguria in compagnia di una collaboratrice, viaggio terminato in un albergo con camera matrimoniale «per sole esigenze di risparmio». Incontro che, stando a quanto detto dal presidente regionale ligure dei giovani del Pdl e da un consigliere regionale, non è stato mai fatto. A provarlo ci sono le informative della Digos. A supporto di tutto questo c’è l’incapacità dell’accompagnatrice di Tisci di specificare l’argomento del presunto incontro e il luogo. «Godere di una vacanza all’estero in località turistica insieme al proprio coniuge o pernottare in albergo con persona non autorizzata è attività che nulla ha a che vedere con l’esercizio del mandato di consigliere». In pratica i viaggi di Autilio all’estero sarebbero chiari già così. Per non parlare delle spese di ristorazione che avrebbe pagato a favore di terze persone non collaboratori, o per rimborsare pasti consumati da terzi e biglietti ferroviari utilizzati da altri. Tutti «tipici esempi di atti appropriativi». Non importa che ad Autilio, come la difesa precisa, vengano contestati contributi considerati non ammissibili soltanto dopo una delibera regionale del 2012, ovvero a reati già compiuti. Per il Riesame non c’è nessuna differenza e non importa quindi che per legge regionale sia stato abolito l’onere di rendicontazione analitica, il reato di peculato permane. E il fatto che Castelluccio, invece, abbia restituito parte delle somme contestate con un assegno da 5mila 934 euro, non significa che si può revocare il divieto di dimora a lui imposto. La constatazione è semplice. Se Castelluccio ha contestato quanto sottolineato dai pm, perché avrebbe dovuto restituire la somma? Più o meno le stesse valutazioni sono state fatte nel caso di Vita, raggiunto da divieto di dimora. Vita ha restituito per intero i 7mila 971,52 euro contestati «a conferma – si legge nella memoria difensiva depositata – della sua ferma volontà di regolamentare ogni suo comportamento, dando l’ulteriore prova dell’insussistenza del pericolo di reiterazione». Vero, ma per il Riesame tutto questo si traduce in un «tentativo per sottrarsi dalle proprie responsabilità, essendo la stessa irragionevole». Ai ristoranti, invece, ci sarebbero andati i suoi collaboratori e non lo stesso Vita. Questo però non significa che non ci siano «gravi indizi» nei confronti di Vita, poiché «sarebbe necessario accertare i concreto chi usufruì di quei pasti e per quali esigenze così pressanti ed urgenti tali da giustificare la protrazione dell’attività oltre l’orario di lavoro». Oltre a questo ci sarebbe da capire la necessità di fare incontri istituzionali, fuori orario, nei ristoranti. E l’assegno? Ecco, per il tribunale del Riesame la motivazione è la stessa di Castelluccio. Se i fatti sono contestati non si comprende la ragione della restituzione del denaro tramite assegno. Anche questo è un versamento “sine titulo”, dettato probabilmente da quanto il “lodo Mancusi” avrebbe permesso, ovvero la revoca delle misure cautelari. Eppure il Riesame dà parere esattamente contrario, ribadendo anche in questo caso che «nessuna conseguenza favorevole può annettersi al pagamento della somma». Diverso il caso di Venezia, che nel chiedere la revoca del divieto di dimora affermava, tramite il suo legale, di essere stato truffato da un suo collaboratore. Per i giudici questa affermazione «non può essere idonea a scalfire il quadro indiziario», peraltro sembrerebbe «neppure plausibile» che un collaboratore avesse truffato Venezia. Non si capisce infatti che tipo di interesse possa aver avuto nel maggiorare le ricevute dei ristoranti. Lo stesso Venezia durante l’interrogatorio di garanzia, non avrebbe dato indicazioni plausibili ad un eventuale truffa di un collaboratore. Nel verbale dell’interrogatorio l’unica valutazione che Venezia dà all’eventuale condotta è «la questione di un problema di carattere, non so, psichiatrico, qualcosa del genere, perché non c’è motivo». In più ci sarebbe il rapporto con uno dei collaboratori, riavvicinato nell’ottobre 2012 ad indagini già avviate da Venezia per tentare di appianare il debito maturato in relazione alle prestazioni relative agli anni precedenti. Il fatto che Venezia abbia tentato di anticipare quell’incontro all’estate del 2012 «indeboliscono – scrive il Riesame – in modo determinante la credibilità dell’indagato» in relazione anche ai contributi percepiti da Venezia anche utilizzando false attestazioni di pagamento di alcuni collaboratori. Da respingere anche la richiesta di Vincenzo Ruggiero, colpito dal divieto di dimora a Valsinni e sequestro dei con 26mila 575,40 euro contestati. Secondo la difesa le dichiarazioni di una presunta collaboratrice, che non ha riconosciuto 4 ricevute da 5mila euro ciascuna come “rimborso spese per attività di assistenza gratuita di segreteria” non sarebbero vere, in quanto “provenienti da parte interessata”. Eppure la donna, collaboratrice all’insaputa del marito” avrebbe ricevuto, come dichiarato in un interrogatorio, soltanto il rimborso spese per la benzina, indicando in maniera del tutto generica le sue mansioni (l’utilizzo del computer a casa di Ruggiero) senza però specificare il tipo di competenze di tipo informatico. Ruggiero però in fase di interrogatorio ha sottolineato la necessità che la collaboratrice «si recasse presso l’abitazione tutti i giorni, senza chiarire le reali necessità di questa frequentazione quotidiana. Inoltre la donna ha dichiarato di fidarsi ciecamente di Ruggiero, firmando qualsiasi cosa sotto posta oltre ad aver dichiarato dia ver trascorso “per ragioni personali” un weekend a Roma. Tutti episodi commessi in due anni, con una somma «distratta – scrivono i giudici – attraverso modalità anche particolarmente sfrontate dimostrano una particolare pervicacia e disinvoltura della condotta criminosa ed impongono la formulazione di un giudizio negativo sulla condotta futura del consigliere».

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