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Sono qui con le dita ferme, incapaci di dire, so che sta molto male e non mi alzerò se non scriverò di lui ancora presente, con il respiro corto, ma presente. Non sarò capace di ricordarlo, voglio sentirlo, voglio parlargli. Sono davanti alla sua porta nel salotto di casa, sto lì in attesa con quelli che aspettano di salutarlo, di prendersi un sorriso, anche un rimprovero. Si un rimprovero per quello che facciamo e per quello, soprattutto, che non abbiamo fatto.

Sa sempre tutto a cominciare dalla sua Potenza. Due estati fa, la calura lo avvicina a Potenza, e a casa aspetta con la curiosità che è tutta sua, che qualcuno lo vada a trovare, pochi, in verità, per farsi raccontare e raccontare fatti e fatti e fatti che ricorda con minuzia, una memoria di ferro, collegando, tenendo insieme pensieri, storie che sono storia, con la colla che lui ha sempre in abbondanza: gli ideali.

So da lui che un uomo che non abbia ideali è destinato a perdersi, a non trovare più la strada, a diventare vecchio (e lui non lo è). E’ la condanna prevista per quelli che agiscono e operano nella mediocrità, con l’orizzonte corto e senza un’emozione.

Due estati fa è andato in giro per la città per scorgere le novità, la sera siamo andati in pizzeria a Pignola con Erberto, Giampaolo, Gino, Vincenzo, Rosalba, Vito, lo ha accompagnato Nicola che lo ama come un padre, c’è, naturalmente Anna, la sorella che lo segue dappertutto (non si sa ancora chi ha più preoccupazioni per l’altro). E’ stato bene, ha bevuto il vino bianco che gli piace molto, ha fatto qualche stravizio lontano dagli occhi di Anna, ha riso di fronte alle piccole storie che gli ricordiamo di quando lui, Presidente, Ministro, Eccellenza, veniva a Potenza e non gli davamo nemmeno il tempo di salire le scale perché eravamo già li ad aspettarlo. La mattina sono andato a trovarlo, è già andato in Cattedrale a sentire la Messa e fare una chiacchiera con i preti che incontra, il Vescovo e tutti quelli che gli si avvicinano ogni volta che passa. “Presidente e allora? “Non c’è anima” mi ha detto alzando la voce ricordando Potenza e , naturalmente “la Trinità, ma quando la riaprono? “ con la tristezza che qui accumula ogni volta che viene quando apprende le storie di Basilicata. E , poi, d’un tratto, mentre parliamo, rivolta il suo stato d’animo, rovescia il malumore, accantona la tristezza e ci parla di quel che possiamo fare, di quel che si deve fare per la Basilicata.

Una sera ci ha raccontato di Ugo La Malfa, del laicissimo La Malfa (altri tempi,altri uomini: Colombo. Moro. Berlinguer. Almirante, Nenni, Zaccagnini etc etc) . “A chi gli presentava la proposta della Fondazione Agnelli che prospettava la riduzione delle regioni perché troppe e la loro aggregazione, La Malfa lo sapete cosa disse? : “ La Basilicata non va cancellata, è piccola ma è una regione seria, governata da persone serie”. E ha riso appagato come se fosse accaduto qualche minuto prima.

Deve cenare, lo lasciamo mentre si raccomanda al nostri sogni, gli ideali sanno nutrirli, al nostro amore, il lucano ama la sua terra più di chiunque altro, alla passione che solo chi sa soffrire sa avere. “Statt buon” mi fa offrendomi il volto per un bacio. E’ in vestaglia con una gamba sull’altra e continua a muoverla in un moto continuo. Elegantissimo in ogni gesto e in ogni cosa che indossa, anche ora che qualche volta la cravatta non gli viene perfetta. Un’altra cosa so da lui. Che solo l’entusiasmo, quello consapevole che si ha solo quando si amano le cose che si fanno, rinvigorisce gli ideali e consegna sostanza all’eleganza,

Un’altra cosa so da lui. Che la fiducia non va mai persa e che la fede rafforza la speranza. Nel libro che ha presentato a Torino qualche settimana fa (quanto gli è costato andare alla Fiera del Libro per presentare questa intervista con il suo amico Arrigo Levi) conclude “ E’ alle risorse della politica che occorrerà ancora ricorrere, offrendo il meglio delle nostre virtù nazionali. E i cattolici possono essere ancora – se vogliono e non da soli – una riserva di valori e di ricchezza per l’Italia”.

Durante le celebrazioni del150°dell’Unità d’Italia le parole più vere sono state le sue:

«Il vero tema attorno al quale è necessario riflettere si legherà sempre di più all’urgenza di costruire le condizioni perché venga rovesciato lo stereotipo che utilizza , nel pregiudizio antimeridionale, le scarse virtù della classe dirigente del Mezzogiorno di cui si intravedono le vischiosità, le approssimazioni, le anemie dello spirito pubblico, le contiguità con la criminalità organizzata. …La prima prova di solidarietà dovrebbe essere offerta dalla classe dirigente meridionale verso i valori dell’etica pubblica, della qualità e della competenza. E’ necessario che parta dall’Università, dagli avamposti della cultura del Sud, dai centri nei quali si forma e si elabora il sentimento civile, l’impegno a ripartire dal Mezzogiorno nel declinare il decalogo dell’onestà, del rigore, delle virtù civiche al servizio di un rinnovato ideale, di una più forte passione morale e di un’idea ricostruttiva della coesione sociale e dell’unità del Paese.»

Punto. 

 

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