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REGGIO CALABRIA, 2 LUG – Antonino Lo Giudice, il boss pentito che nelle scorse settimane ha ritrattato le sue dichiarazioni e si è allontanato dalla località protetta dove si trovava, è vivo. Lo ha detto il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho intervenendo alla rassegna Tabularasa.
Il magistrato, parlando di informazioni in suo possesso, ha detto che l’ex pentito di ‘ndrangheta “è attualmente in vita”.
Parlando poi di Reggio Calabria, Cafiero De Raho ha sostenuto che “uno dei problemi è l’informazione. Non è possibile che non si consenta ad un procuratore di replicare su una notizia o su una dichiarazione che getta fango sulle istituzioni. Quando un’istituzione viene messa in cattiva luce sarebbe opportuno dare la possibilità di difenderla a coloro che la rappresentano. L’obiettivo è gettare fango su tutti, affinchè nessuno sia infangato. Ciò è avvenuto ad esempio sul caso Lo Giudice”. 

REGGIO CALABRIA – Antonino Lo Giudice è vivo. Lo ha detto il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho intervenendo alla rassegna Tabularasa. Dalle informazioni in possesso del magistrato, è stato possibile rassicurare sulla sorte del boss che si era pentito e che nelle scorse settimane ha ritrattato le sue dichiarazioni e si è allontanato dalla località protetta dove si trovava. 

Di più il procuratore non dice. Ma commenta ciò che sta avvenendo attorno al caso Lo Giudice. «Si getta fango su tutti affinché nessuno venga infangato». Cafiero De Raho ha spiegato che «uno dei problemi è l’informazione. Non è possibile che non si consenta ad un procuratore di replicare su una notizia o su una dichiarazione che getta fango sulle istituzioni. Quando un’istituzione viene messa in cattiva luce sarebbe opportuno dare la possibilità di difenderla a coloro che la rappresentano». 

La vicenda Lo Giudice già in passato è stata definita dal neo procuratore capo come un atto ad orologeria (LEGGI L’ARICOLO).

La scomparsa del pentito e l’invio di tutto il materiale con il quale l’uomo ha ritrattato quanto dichiarato in precedenza sono esplosi all’inizio del mese di giugno. Il “Nano” avrebbe dovuto presentarsi in tribunale per testimoniare in uno dei processi nei quali è coinvolto. E invece le sue dichiarazioni hanno di fatto paralizzato tutti i procedimenti legati alle sue confessioni. 

LE AUTOACCUSE RITRATTATE PRIMA DI SPARIRE – Un personaggio complicato, al centro di molte vicende criminali reggine, su alcune delle quali ancora bisogna fare luce. Nino Lo Giudice si è autoaccusato delle bombe contro i magistrati reggini del 2010, quando venne preso di mira in particolare il procuratore generale Di Landro. Di recente è arrivata la sua condanna anche in Appello (LEGGI L’ARTICOLO).

Ma tra i ruoli che si è autoattribuito Nino, detto il Nano, c’è pure quello di aver contribuito con le proprie dichiarazioni alla cattura del superboss Pasquale Condello, detto il supremo. Una versione, questa, che però non ha riscontro. Lo Giudice ha riferito anche del ruolo apicale, col grado di “padrino”, che ha assunto nella cosca dopo la morte del padre, Giuseppe, ucciso nel giugno del 1990 durante la guerra di mafia.   

Tutti aspetti che prima di sparire Lo giudice ha smentito in un suo memoriale (LEGGI)

QUANDO DECISE DI COLLABORARE – Il suo arresto è avvenuto poi nel 2010. Era il 7 ottobre, otto giorni più tardi arrivò la decisione di collaborare con la giustizia, mentre era detenuto nel carcere di Rebibbia. Iniziò così a fare le prime rivelazioni all’allora procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone.   Prima di lui, il passo verso lo Stato lo aveva fatto nel 1999 il fratello minore Maurizio, dopo una pesante condanna per l’omicidio di un ristoratore reggino, Giuseppe Giardino, al quale Maurizio aveva tentato di sottrarre l’incasso della giornata sotto casa della vittima.  

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