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COM’E’ nato lo schieramento  dei progressisti in Basilicata e  quali sono le regioni per le quali il centrodestra non è riuscito ad attecchire in Basilicata. L’ex segretario regionale del Pds, Antonio Luongo così raccontava analizzando le delicatissime fasi del post Tangentopoli. Nel libro  “Il governo dell’Ulivo in Basilicata” nato dall’intervista da lui rilasciata  a Nino Calice e pubblicato del ‘98. Un’analisi sì datata ma tutt’ora molto valida, soprattutto in questa delicatissima fase della vita politica regionale. E che ancora oggi può costituire un valido punto di partenza per comprendere il passato, ma anche per orientarsi nel futuro alla vigilia del voto di novembre che si annuncia come lo spartiacque di una fase storica definitivamente chiusa e il nuovo corso. E allora l’interrogativo è: esistono ancora le condizioni perché il centro sinistra lucano possa confermare il suo forte radicamento sul territorio. E il centro destra anche questa volta sarà relegato al ruolo di eterno subalterno?   


Come nasce lo schieramento dei progressisti in Basilicata?

Nasce, ripeto, innanzitutto come rottura del quadro politico alla Regione. Chiamammo i socialisti ad una prova decisiva, dicemmo chiaramente che per dare vita, insieme, allo schieramento dei progressisti, occorreva innanzitutto che loro uscissero dalla Giunta regionale. Nel Psi ci fu una profonda lacerazione, e cominciarono a profilarsi chiaramente due ipotesi strategiche, nettamente alternative: da un lato si schierarono i “socialisti per  l’alleanza progressita”, che in Consiglio regionale passarono con noi all’opposizione , dando vita ad un’esperienza politica interessante anche sotto il profilo dell’attività consiliare e dell’elaborazione programmatica; dall’altro si profilava una logora ipotesi neocentrista. Noi comunque non ci limitammo a concepire lo schieramento dei progressisti come una semplice alleanza fra Pds e quelli che sarebbero diventati i Laburisti. Ci ponemmo il problema della discontinuità, aprimmo cioè la discussione sul tema del ricambio delle classi dirigenti e del rinnovamento.

E poi capimmo che occorreva dare un profilo di governo all’alleanza progressista.

La Basilicata fu forse l’unica regione in cui nel ’94 non fu raggiunto un accordo  con Rifondazione e Rete. Noi scegliemmo, invece, alcune candidature significative della società lucana, come quelle degli avvocati Tuccino Pace e Gigi Porcari, ad esempio, che ci permisero di diventare interlocutori di un’area moderata.

Ci ponemmo cioè un duplice obiettivo; non lasciare alle destre, che nella nostra regione iniziavano ad organizzare il proprio fronte, il tema del rinnovamento delle classi dirigenti meridionali; costruire una sinistra che non fosse l’espressione rigida del ceto politico e dei partiti organizzati, aprendosi invece all’area moderata. L’esito fu positivo anche perché il Partito popolare, nonostante l’insuccesso nazionale, mantenne in Basilicata un suo insediamento.

Le  elezioni del ’94 proposero i progressisti ed il Pds come forza di governo in Basilicata. Erano quindi maturi i tempi per proporre un’alleanza di centro sinistra?

Sì, ma sarebbe  stato un errore arrivare alla costituzione del centro sinistra prima delle elezioni regionali del ’95. Nel resto del Mezzogiorno si fece questa scelta, che probabilmente ha concorso a determinare la successiva sconfitta del ’95. Noi invece capimmo che il centro sinistra aveva bisogno della legittimazione popolare, e rifiutammo quindi di anticipare quella scelta. E poi evitammo giustamente un rapporto privilegiato fra Pds  e democristiani (poi Popolari) portando invece il complesso delle forze progressite ad un rapporto organico con l’area di centro.

Dopo le elezioni del ’94 vi fu quindi un nuovo tentativo di “governissimo” alla Regione. Chi lo propose?

Era nei fatti un problema all’ordine del giorno. Il Partito popolare  era ad un passo dalla scissione, e le sue diverse componenti tentavano di prefigurare nuove leadership. E  noi non potevamo certamente stare a guardare, eravamo in qualche modo obbligati a fornire una risposta di governo rispetto ai tanti problemi del sistema politico e del mondo economico sociale. Non ci potemmo sottrarre, quindi, al confronto sulle possibili soluzioni, e ponemmo chiaramente la condizione pregiudiziale del ricambio della presidenza della Giunta regionale. Fu una mossa tattica, una condizione che naturalmente i democristiani non potevano accettare, ma anche un modo per fare percepire alle altre forze politche che senza il rinnovamento non sarebbe stato possibile il centro sinistra  in Basilicata. Se non avessimo posto il tema della discontinuità, del rinnovamento dei gruppi dirigenti, avremmo corso qualche rischio alle elezioni del ’95. Anticpando il centro sinistra sarebbe stato tra l’altro più difficile porre il problema del rinnovamento delle candidature.

Perché alle regionale del’95 ha vinto il centro sinistra?

Essenzialmente perché non abbiamo attenuato il valore dell’esperienza progressista e perché abbiamo posto con forza il tema del ricambio delle classi dirigenti, aiutando con ciò il processo di rinnovamento del Partito popolare e dell’area moderata dell’alleanza.

E la destra non lo ha fatto?

A suo modo sì, anche perché ha dovuto subire l’agenda politica del rinnovamento imposta nel dibattito politico da noi.

Torniamo alla vittoria del ’95. Non ha pesato anche la storia politica  di questa regione? Almeno per due aspetti singolari rispetto al panorama meridionale: l’essere stato costantemente il Pci ai più alti livelli percentuali, mediamente intorno al 21-22 per cento, insieme alle qualità della classe dirigente Dc, nata da buoni ceppi di eredità democratiche nel secondo dopoguerra… In altre parole: se ti fossi trovato di fronte alla Dc napoletana avresti potuto pensare un’operazione del genere?

Per noi forse è stato ancora più difficile affrontare il problema del rinnovamento delle classi dirigenti. Non siamo stati “aiutati” dalla magistratura, come è avvenuto nel resto del paese. Qui è stata la politica a rinnovare, il che ha reso l’operazione più coraggiosa e complessa. Poi c’è anche la particolare storia della Dc in Basilicata.

Ma il rinnovamento è dipeso anche dall’incontro reale delle grandi forze democratiche, e dal fatto che le forze sociali ed economiche hanno guardato con speranza ed attenzione a questo tentativo.

Proviamo ad esaminare i caratteri di questa regione, partendo dalla ricorrente critica al Mezzogiorno ed al suo cronico deficit di senso civico. Qual è stato il peso della società civile e quale il peso dei partiti nel successo del centro sinistra? C’è in Basilicata una società civile con un suo grado di autonomia e di indipendenza dai poteri politici ed istituzionali? Oppure questa regione è ancora la più attaccata allo Stato ed ai suoi mille rivoli?

La situazione è molto complessa.

Coesistono nella stessa area del centro sinistra un bisogno classico di Stato, che punta a riprodurre il rapporto storico fra Mezzogiorno e Stato centrale, ed una esigenza di rinnovamento, che nasce dalla percezione di come oggi non sia più possibile alcuna forma di dipendenza dallo Stato centrale.

Dove hai avvertito questa esigenza?

Soprattutto in alcuni settori economici, dove inizia ad affermarsi una certa consapevolezza della fine delle logiche dell’intervento straordinario.

Parli quindi soprattutto dei cosiddetti “poteri forti”. Ma  cosa sta accadendo, ad esempio, fra gli industriali?

Fra gli industriali c’è la consapevolezza di come si sia completamente esaurita la funzione meditrice dell’area moderata, che in passato si esprimeva attraverso lo scambio fra spesa pubblica e la granzia del raggiungimento di determinati equilibri nel sistema economico.

Gli industriali hanno capito che gli equilibri nati intorno alla gestione della spesa pubblica sono irrimediabilmente finiti e propongono al nuovo governo regionale una serie di problemi, anche di notevole importanza, ma “in ordine sparso”. La domanda economicamente e sociale di oggi appare quindi estreamente frammentata, priva di una regia, di un indirizzo generale.

C’è il rischio di una disarticolazione delle esperienze economico-industriali, ognuno cerca di cogliere il mutamento politico per giocare la propria partita. Noi invece chiediamo a questi soggetti di riprendere una funzione di soggetto economico di questa regione. Le istituzioni e i partiti devono interloquire con soggetti imprenditoriali organizzati su problemi ed interessi generali.

 

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