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POTENZA – Torna a casa negli Stati Uniti un carico di materiale radioattivo custodito per 40 anni all’Itrec di Rotondella assieme alle barre di combustibile nucleare della centrale di Elk River. Per non tornare mai più. 

E’ arrivata al Quotidiano ieri pomeriggio la conferma sulla natura del misterioso trasferimento di materiale radioattivo dal centro ex Enea all’areoporto militare di Gioia del Colle. A distanza di qualche ora un comunicato striminzito della Sogin ha fugato i dubbi residui. «In ossequio agli impegni presi dall’Italia in occasione del Vertice sulla Sicurezza Nucleare svoltosi a Seoul nel marzo del 2012 – ha spiegato la società che gestisce il lascito dell’epopea dell’atomo tricolore – si è concluso oggi il rimpatrio negli Stati Uniti di materiali nucleari sensibili di origine americana che erano custoditi in appositi siti sul territorio nazionale per attività di ricerca e di sperimentazione. Il rimpatrio di tale materiale negli Usa si inquadra nell’ambito dell’Accordo internazionale tra Stati Uniti e Comunità europea dell’Energia Atomica (Euratom) concernente l’utilizzo dell’energia nucleare a scopi pacifici». Poche parole e a dir poco scarne, per annunciare l’inizio della fine di un vero e proprio incubo per Rotondella e dintorni.

I contorni dell’operazione verranno forniti con ogni probabilità domani dal ministro Andrea Orlando alla commissione Ambiente della Camera dei deputati. Finora si è saputo soltanto che era programmata da tempo e i suoi preparativi non sono passati inosservati dato anche il dispiegamento massiccio di esercito e forze dell’ordine sul territorio. Tutto sarebbe andato per il meglio, per questo si è deciso di tranquillizzare la popolazione che da due giorni può ben dire di avere qualcosa in meno di cui preoccuparsi.

Quindi addio a una prima parte del fardello atomico dell’Itrec. Le 84 barre di uranio e torio provenienti dalla centrale di Elk River in Minnesota erano arrivate in Basilicata negli anni ‘70 per essere riprocessate con una tecnologia sviluppata dall’Enea per il recupero del combustibile nucleare. A che fini? Senz’altro militare, se ancora di recente in alcuni documenti viene definito materiale «weapons grade», idoneo per fornire il la materia prima necessaria a un’arma atomica. Cosa che è a un certo punto sembra aver attirato giovani scienziati da diversi paesi medio-orientali interessati al ciclo uranio-torio come al suo possibile secondo uso.

Rimaste in 64, dopo che 20 sono state trasformate in maniera irreversibile, per quasi quarant’anni le barre di Elk River erano rimaste immerse in una piscina a temperatura costante. Poi è arrivato il progetto di messa in sicurezza della Sogin che prevedeva la realizzazione di due contenitori da 32 barre cadauno di cemento e piombo, dove inserirle per lo stoccaggio temporaneo e il trasporto in sicurezza fino alla loro destinazione “finale”. Dove fosse è rimasto riservato fino a ieri, tant’è che i più pensavano che sarebbero rimaste in Italia.

L’operazione di lunedì notte ha coinvolto anche altri due siti nucleari italiani. I convogli scortati da militari con i mitra spianati si sarebbero mossi in contemporanea verso un unico punto di concentramento, e di qui sarebbero partiti alla volta dell’America. Si è parlato anche di un aereo cargo tipo “Jumbo” 747 partito dall’aeroporto di Gioia del Colle con una scorta di jet militari, ma conferme in questo senso non ne sono arrivate. Infatti, nelle vicinanze dell’aereoporto militare c’è anche una stazione delle ferrovie dove il “cask” proveniente da Rotondella potrebbe essere stato caricato dietro un locomotore e diretto verso un porto. Quindi imbarcato su una nave e avviato a una tranquilla traversata dell’Atlantico, proprio come 40 anni fa.

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