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ROMA – Il processo scaturito dall’operazione Infinito, che ha colpito le cosche attive in Lombardia, ha retto fino alla fine, fino alla sentenza emessa dalla VI Sezione Penale della Cassazione che ha sostanzialmente confermato quasi tutte le condanne ai 92 imputati del processo. Da molti definito il più importante processo alla ‘Ndrangheta condotto dalla Procura di Milano a carico delle ‘ndrine radicatesi in Lombardia. Solo per Rocco Coluccio, un biologo, dovrà essere rifatto il processo. Per gli altri imputati solo piccoli ritocchi di pena e di qualche imputazione. Confermato dunque il verdetto emesso della Corte d’Appello di Milano. Tutti gli imputati hanno scelto il rito abbreviato: il I Grado si è concluso nel novembre 2011 davanti al Gup di Milano Roberto Arnaldi. Gli arresti risalgono al 13 luglio 2010 quando in carcere finirono 174 indagati. Le intercettazioni a loro carico erano schiaccianti, per questo è stato scelto l’abbreviato che consente lo sconto di un terzo della pena. Tra le accuse oltre all’associazione mafiosa, anche le estorsioni, la detenzione di armi, le pressioni per ottenere appalti.
«La struttura del verdetto emesso in Appello dai giudici di Milano ha retto in maniera massiccia davanti al giudizio della Cassazione». Ne è convinto il sostituto procuratore generale della suprema corte Aldo Policastro alla lettura del verdetto emesso dalla VI Sezione Penale. Il Pg Policastro aveva chiesto la sostanziale conferma delle condanne. «Con la conferma sostanziale della sentenza di appello si conferma la struttura della ‘ndrangheta lombarda come un corpo autonomo rispetto alle ‘ndrine di origine che continuano a rimanere radicate in Calabria con le quali il contatto è comunque costante».
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