X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

Con una lettera ai sindaci lucani il presidente della giunta della Basilicata, Marcello Pittella, ha mostrato qualche ravvedimento sulle posizioni oltranziste espresse in passato dalla intera classe dirigente regionale, prendendo le distanze dal presunto catastrofismo ambientale, prendendo atto della necessità di incrementare lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, mostrando consapevolezza del momento che stiamo attraversando .
Tuttavia, che si sia all’inizio di una svolta epocale è cosa che tutta da dimostrare concretamente.
I primi atti messi in campo in tale ottica non sono certo esaltanti: la trasformazione della card benzina in card sociale e la legge regionale per il reddito minimo di inserimento altro non sono che ennesimi esempi di assistenzialismo.
La card benzina era un provvedimento discutibile, ma la social card lo è ancora di più, date le difficoltà distributive che implica.
Si stima che con la social card, andranno sul libro paga della Regione Basilicata, altre 10 mila famiglie che porteranno a 25 mila le famiglie stipendiate e/o sussidiate da quella che può considerarsi la fabbrica dell’obbedienza sociale, lo zoccolo duro di consenso, su cui finora è sopravvissuta la classe dirigente regionale.
I beneficiari della social card saranno selezionati tra le 30 mila famiglie povere presenti in Basilicata,un terreno che sarà verosimilmente oggetto di nuove scorribande clientelari non solo per i politici.
Il rischio che tutto si traduca nella solita politica passiva ed assistenziale è molto alto. A proposito che risultati ha conseguito il vecchio provvedimento sul reddito di cittadinanza? La domanda ovviamente è retorica: siamo degli specialisti nel rovesciare l’impostazione einaudiana di conoscere per deliberare, si decide sistematicamente, senza valutare ciò che si è fatto in materia in passato.
In realtà, la strada dello sviluppo e della coesione sociale è lastricata di fallimenti storici continui: spesso tali termini servono per dissimulare altri obiettivi politici e sociali.
Per non andare tanto lontano e per restare nell’argomento petrolio, non c’è mai stata finora la relazione royalties- sviluppo-progetto:le risorse sono state impiegate per tappare i buchi della sanità, per fare forestazione improduttiva, per sostenere un apparato amministrativo elefantiaco quanto inefficiente: in sostanza, per fare cattiva occupazione e cattivo governo dei fondi.
La stessa decisione del reddito di inclusione sociale è sbagliata, non perché non si ponga un problema di lotta di contrasto alla povertà, ma perché non sottende, se non a chiacchiere, una vera politica di coesione sociale che comporta misure per fronteggiare esigenze materiali come l’occupazione, la casa, l’istruzione, la salute, l’educazione.
Il palliativo rappresentato da un reddito di cittadinanza o di esistenza-fa notare l’economista keynesiano Giorgio Lunghini, già consulente del Governo preseduto da Massimo D’alema – non risolverebbe la questione dell’autonomia economica e politica dei non occupati, probabilmente ne aumenterebbe il numero, ne certificherebbe l’emarginazione, favorirebbe il voto di scambio e lascerebbe irrisolta la questione dei bisogni sociali insoddisfatti.
L’autonomia economica e politica presuppone un reddito da lavoro, in assenza del quale i progetti di vita e di lavoro dei cittadini restano deboli.
La questione cruciale, quella che da sempre affligge la Basilicata ed il Mezzogiorno è la destinazione delle risorse disponibili.
Il problema non riguarda solo il petrolio : cumulando tra il 2000 ed il 2013 i fondi Ue ( 2,650 miliardi di euro, il doppio delle royalties) con quelli del petrolio (1,334 miliardi di euro) abbiamo avuto circa 4 miliardi di euro, finalizzati a mantenere il sottosviluppo. Per non parlare dei trasferimenti dello Stato per la sanità (oltre un miliardo di euro all’anno) e così via.
Con quali risultati? La svimez conferma anche nel rapporto 2014 impietosamente il grave stato di recessione in cui siamo da lungo tempo.
L’amara verità è che la regione non sa fare sviluppo, non è organizzata per farlo.
Non c’è la percezione della crisi:la si affronta con il ricorso al “bancomat”, ossia alla spesa corrente, vale per le royalties, vale per i fondi europeri, vale per il resto dei trasferimenti statali.
Avremo più risorse con lo “sblocca Italia”, da destinare ad investimenti e ricerca , ma su questo terreno non siano attrezzati politicamente, culturalmente ed organizzativamente.
Non è facile passare da una politica basata sulla spesa corrente ad una concentrata sugli investimenti ,ci vogliono competenze nuove, al netto della volontà politica di farlo.
Or dunque, prima di mettersi le penne di pavone su presunte vittorie, si metta mano alle politiche di sviluppo, se si vuole realmente uscire dal tunnel della crisi.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE